Se il problema cardiaco è di modesta entità generalmente i segni clinici che il proprietario potrebbe notare sono minimi o il più delle volte assenti, per cui spesso cardiopatie in fase iniziale sono dei reperti occasionali che si ottengono durante le visite di controllo o visite per tutt'altro motivo e che sfociano nella classica frase "signore, il suo cane ha un soffietto, lo sapeva?" Panico del proprietario! In realtà la presenza di un piccolo soffio non significa che il problema necessariamente evolverà verso una situazione più grave (ci sono cani che vivono per tutta la vita con un soffio al cuore senza che questo gli crei alcun problema), ma sicuramente il cane "portatore" di soffi cardiaci deve sempre essere tenuto sotto controllo da un punto di vista cardiologico (NdA: il soffio cardiaco non è l'unico segno clinico che può far sospettare una cardiopatia, ma sicuramente è il segno più "classico"). Controllo cardiologico inteso in senso lato, ovvero potrebbe bastare una semplice visita clinica, ma potrebbero anche essere necessarie indagini più approfondite quali elettrocardiogramma, radiografia del torace, ecocardiografia... il tutto a discrezione del veterinario di fiducia.
Se invece il problema cardiaco è di una certa entità il poprietario potrebbe notare affaticabilità, intolleranza allo sforzo, debolezza, comportamenti insoliti (es. ansietà, insolita pigrizia), difficoltà a respirare, aumento della frequenza respiratoria, tosse, mancanza di appetito, dimagramento, vomito, diarrea, oliguria (minor quantità di urine), polidipsia (maggior quantità di acqua bevuta) edema, sincope (perdita di coscienza momentanea, soprattutto in seguito a sforzi)...
Tutti questi sintomi possono essere solo indicativi di disturbi cardiovascolari, spesso infatti sono associati a problemi di tutt'altro genere. Sarà il veterinario che in seguito a visita clinica deciderà se indagare più approfonditamente l'aspetto cardiocircolatorio.
Cardiopatie congenite.
Sono anomalie morfologiche del cuore e dei grandi vasi presenti dalla nascita. Possono essere dovute a incompleta separazione del cuore destro dal sinistro (shunt intracardiaci), stenosi (restringimento) delle valvole aortica e polmonare, malformazioni delle valvole atrio-ventricolari, sviluppo anomalo degli atrii, sviluppo anomalo del pericardio, anomalie vascolari, persistenza del dotto arterioso, ecc ecc. Alcune regrediscono progressivamente con lo sviluppo, altre (purtroppo la maggior parte) hanno un andamento ingravescente che sfocia nell'insufficienza cardiaca con il passare delle settimane, mesi o a volte anni. L'eziologia non è sempre nota; alcune malformazioni cardiache hanno una base genetica per cui presentano una maggior incidenza in alcune razze, altre hanno come causa mutazioni genetiche dovute all'interazione con l'ambiente (radiazioni, infezioni...).
Da un punto di vista fisiopatologico le anomalie cardiovascolari congenite comportano una minor saturazione di ossigeno nel sangue, un sovraccarico cardiaco eccessivo e contrazioni cardiache inadeguate che a loro volta portano a quella sintomatologia citata nel paragrafo precedente con in più un disturbo nell'accrescimento talvolta ben evidente che ovviamente non è riscontrabile nell'animale già adulto. Da tener presente che nei cuccioli è abbastanza frequente la rilevazione di soffi cardiaci cosiddetti "innocenti" senza alcun significato e che tendono a scomparire con l'età.
Difetti del ritmo e della frequenza.
Come accennato nella parte di anatomia e fisiologia, il cuore è dotato di una ritmicità intrinseca dovuta a un particolare tessuto miocardico specializzato. Ogni problema a carico di questo tessuto si ripercuote su quella che è la produzione e la conduzione degli stimoli necessari affinchè le varie camere cardiache si contraggano con un determinato ritmo e in una determinata sequenza. Disturbi del ritmo e della frequenza possono essere legati anche a patologie a sede extracardiaca o comunque localizzate al di fuori dal tessuto miocardico specializzato (per esempio disturbi del ritmo con localizzazione anomala all'interno del miocardio, disturbi al di fuori del cuore che tramite riflessi nervosi danno alterazioni nel ritmo cardiaco, disturbi elettrolitici...). Nel cane una modica aritmia cosiddetta "respiratoria" è fisiologica, ed è caratterizzata da un rallentamento della frequenza durante l'espirazione.
Miocardiopatie.
Sono tutte le affezioni a carico del muscolo cardiaco da cause note (es. infezioni, tossicosi, traumi, neoplasie, ecc ecc.) o sconosciute (si fa per dire.. c'è sempre qualcuno che cerca di dare una spiegazione), anche se a dire il vero alcuni autori con il termine "miocardiopatia" intendono solo affezioni del muscolo cardiaco da cause sconosciute. Tra le miocardiopatie a eziologia sconociuta le principali sono la "miocardiopatia dilatativa" e la "miocardiopatia ipertrofica". La miocardiopatia dilatativa è una disfunzione miocardica caratterizzata da una dilatazione delle camere cardiache con riduzione della contrattilità del muscolo cardiaco, associata o meno ad aritmia. La miocardiopatia ipertrofica è rara nel cane ed è caratterizzata dall'ipertrofia (aumento di volume) e irrigidimento delle pareti ventricolari (soprattutto del ventricolo sinistro) in assenza di dilatazione dei ventricoli stessi che causa una disfunzione nel loro riempimento.
Valvulopatie ed affezioni endocardiche acquisite.
Sono affezioni che riguardano le valvole (soprattutto mitrale e tricuspide) e l'endocardio.
La valvulopatia più comune nel cane è l'insufficienza mitralica, spesso associata a insufficienza tricuspidale. Sono invece rare l'insufficienza tricuspidale isolata e l'insufficienza della valvola aortica e polmonare. Le insufficienze valvolari sono dovute a processi degenerativi cronici, le cui cause non sono ancora del tutto chiarite, che negli stadi più avanzati portano a un'insufficiente chiusura delle valvole con relative alterazioni del flusso sanguigno.
L'endocardite infettiva è un'infezione che coinvolge le valvole cardiache e/o il tessuto endocardico. Generalmente è dovuta all'invasione da parte di batteri virulenti del genere Staphylococcus e Streptococcus (più raramente da altri generi batterici) che colonizzano le valvole sane o già danneggiate da una batteriemia (presenza di batteri nel sangue) persistente. La colonizzazione batterica esita nell'ulcerazione dell'endotelio e può portare a insufficienza valvolare.
Malattie del pericardio.
Come accennato nella parte di anatomia e fisiologia, il pericardio è una sorta di sacchetto che avvolge il cuore. La sua funzione è quella di mantenere in sede il cuore e di proteggerlo evitando eccessivi movimenti associati agli spostamenti del corpo, attutendo gli sfregamenti e limitando l'invasione da parte di agenti nocivi eventualmente presenti negli organi vicini. I disordini pericardici possono essere congeniti o acquisiti; tra gli acquisiti ricordo il versamento pericardico (cioè l'accumulo eccessivo di liquido all'interno del pericardio), le pericarditi costrittive e le masse pericardiche. Il versamento pericardico può essere dovuto a infezioni, problemi cardiaci o extracardiaci (es. ipoalbuminemia), neoplasie, traumi o a cause ignote. Le pericarditi costrittive possono essere dovute a infezioni, perforazioni da corpi estranei, neoplasie che causano una perdita di elasticità del pericardio.
Malattie dei vasi.
Le malattie dei vasi sono strettamente correlate alle malattie degli organi o tessuti che irrorano e possono esserne causa o conseguenza. Solitamente sono dovute a infezioni, neoplasie, traumi, tossici, occlusioni, altre malattie... possono essere circoscritte (es. l'occlusione di un'arteria di piccolo calibro interesserà solo la zona irrorata da tale arteria) oppure interessare l'intero organismo (es. ipertensione sistemica). Tra le malattie dei vasi ricordo la trombosi, l'embolia e la vasculite.
La trombosi e l'embolia sono malattie dei vasi a carattere ostruttivo; la trombosi è una manifestazione patologica della coagulazione del sangue e consiste nella formazione di masse solide, derivanti dalle componenti del sangue, che prendono il nome di trombi. A seconda della grandezza del trombo il flusso del sangue può venire ridotto o addirittura completamente ostacolato. Le conseguenze dipenderanno dal vaso coinvolto, dall'entità del deficit di perfusione sanguigna e dalla possibilità o meno di instaurare una circolazione collaterale. In pratica, un grande trombo nell'aorta potrebbe essere incompatibile con la vita, mentre un trombo in una piccola arteria di una zampa potrebbe non dare alcun tipo di problema.
L'embolia è l'arresto (e quindi l'occlusione) in un punto del circolo di masse di materiali non disciolti o aggregati di cellule estranee al sangue. A seconda del tipo di materiale occludente si parlerà di tromboembolismo, embolia parassitaria (es. da filaria), embolia neoplastica, ecc ecc. Anche per l'embolia valgono le considerazioni fatte a proposito della trombosi.
La vasculite è l'infiammazione e successiva necrosi dei tessuti della parete arteriosa e interessa solitamente più arterie. Può essere causata da tossici, infezioni, neoplasie, malattie immunomediate e può portare successivamente a fenomeni trombotici. La sintomatologia dipende dalle cause, dalla localizzazione e dalla gravità delle lesioni vascolari.
Piccola precisazione: cardiopatia e insufficienza cardiaca non sono sinonimi.
Per cardiopatia si intende una qualunque patologia a carico del cuore. Per insufficienza cardiaca invece si intende la mancata capacità di adattamento del cuore, cioè una condizione per la quale il cuore è incapace di pompare un flusso sanguigno adeguato a sopperire in maniera ottimale alle necessità dell'organismo. L'insufficienza cardiaca quindi può dipendere da cause circolatorie (per esempio forti emorragie che diminuiscono drasticamente il volume di sangue circolante) ma non cardiache, e patologie cardiache possono portare a insufficienza cardiaca, ma non necessariamente.
I recenti sviluppi offerti dalla neurofisiologia clinica umana, ed in particolar modo dalle tecniche di indagine neuro-elettriche, hanno permesso l'introduzione anche in medicina veterinaria di metodiche diagnostiche innovative che permettono lo studio approfondito di lesioni del sistema nervoso degli animali domestici fino ad ora non accessibili all'esame diretto. Tali tecniche, che amplificano le possibilità diagnostiche offerte dall'esame neurologico ‘classico', vengono definite Potenziali Evocati. Di questa nuova categoria di esami complementari fanno parte i potenziali evocati auditivi del tronco encefalico, i potenziali somato-sensoriali degli arti anteriori e posteriori, i potenziali visivi ed i potenziali motori. In particolare, l'obiettivo del presente lavoro sarà quello di illustrare l'impiego dei potenziali evocati auditivi del tronco encefalico, di seguito indicati anche con l'acronimo BAEP (brainstem auditory evoked potentials), quale strumento diagnostico in audiologia e neurologia veterinaria, evidenziandone le modalità di esecuzione, l'utilità clinica ed i limiti diagnostici.
La via acustica
La perdita dell'udito è una patologia molto frequente negli animali domestici. Spesso, però, le forme parziali di sordità non vengono riconosciute dai proprietari o addirittura vengono scambiate con problemi di tipo comportamentale. Inoltre, la sordità parziale è difficilmente diagnosticabile anche dal veterinario per la mancanza di una collaborazione attiva e cosciente da parte dei pazienti. La comprensione di tale patologia e le sue implicazioni diagnostiche richiedono una conoscenza approfondita delle strutture che compongono le vie uditive e delle loro funzioni.
L'udito è definito come la trasduzione del suono, energia meccanica ondulatoria, in impulsi neurali trasmessi ed interpretati dal sistema nervoso. Il suono, prima di raggiungere l'orecchio interno, attraversa l'orecchio esterno (padiglione auricolare e canale uditivo esterno) e fa vibrare la membrana del timpano, che separa l'orecchio esterno da quello medio. Il timpano a sua volta trasmette queste vibrazioni alla finestra ovale, tramite la catena degli ossicini (martello, incudine e staffa) e in questo modo l'orecchio medio trasforma ed amplifica le vibrazioni dell'aria in vibrazioni del fluido contenuto nella coclea dell'orecchio interno. Le cellule acustiche, cellule capellute dell'organo di Corti, attraverso un meccanismo piezoelettrico convertono l'energia meccanica delle onde sonore in potenziali elettrici che si propagano come impulsi nervosi lungo le numerose fibre del nervo cocleare verso il ganglio spirale. Il nervo cocleare, che insieme al vestibolare va a costituire l'ottavo nervo cranico, attraversa il meato acustico interno e termina nei nuclei cocleari dorsale e ventrale posti nella giunzione tra ponte e midollo allungato, nei quali è posta la sinapsi con il secondo neurone. Dai nuclei cocleari, poi, le fibre acustiche si portano al lemnisco laterale direttamente o dopo aver contratto sinapsi col nucleo dorsale del corpo trapezoide (nucleo olivare superiore) e con il corpo trapezoide.
Il lemnisco laterale, in cui si trovano fibre acustiche sia ipsilaterali che controlaterali, passa attraverso il midollo allungato e il ponte per raggiungere il collicolo caudale (inferiore) del mesencefalo. Alcune di queste fibre contraggono sinapsi con i nuclei del lemnisco laterale; altre si incrociano e vanno a terminare nel collicolo caudale controlaterale. Dal collicolo caudale le fibre acustiche si portano al corpo genicolato mediale ipsilaterale del talamo. Poi, dal corpo genicolato di ciascun lato, fibre si dirigono come radiazioni acustiche, attraverso la capsula interna, all'area acustica della corteccia cerebrale che è posta nel lobo temporale (Jenkins, 1989) (vedi Fig.1).
La trasmissione delle informazioni sonore, dai recettori dell'orecchio interno alla corteccia uditiva, avviene per propagazione di potenziali d'azione di membrana lungo le fibre ed i nuclei nervosi che compongono la via acustica. Tali potenziali elettrici dinamici influenzando i tessuti circostanti, che si comportano come un volume conduttore, possono essere rilevati anche a distanza sulle superfici più esterne del corpo conservando le loro caratteristiche originarie.
Mediante opportune attrezzature e tecniche, descritte successivamente, è possibile registrare tale attività elettrica e rappresentarla come una funzione d'onda su di un piano cartesiano; in cui in ordinata vengono indicate le differenze di potenziale elettrico espresse in millivolt, mentre in ascissa i tempi espressi in millisecondi. I tracciati così ottenuti sono composti da una serie di 5-7 onde consecutive, indicate per convenzione con numeri romani da I a VII, che forniscono informazioni sulle strutture anatomiche che le hanno generate.
Esistono apprezzabili differenze di forma fra i tracciati ottenuti dai vari animali, differenze che probabilmente sono dovute proprio alle peculiari conformazioni anatomiche tipiche di ogni specie. Infatti, nell'uomo si ritiene che le onde I e II originino dall'ottavo nervo cranico (Chiappa, 1997), nel cavallo invece la II sarebbe generata in parte dal VIII nervo cranico e in parte dal nucleo cocleare (Mayhew e Washbourne, 1997). Nella scimmia, nel gatto e nel cane solo l'onda I sarebbe prodotta dal VIII nervo cranico (Kawasaki, 1996). Inoltre, nel cane e nel gatto è stato ipotizzato che le onde Ia e Ib (P1a e P1b, secondo la nomenclatura in uso nel gatto), evidenzate impiegando particolari configurazioni monopolari degli elettrodi esploranti, corrisponderebbero rispettivamente alla componente recettoriale dell'ottavo nervo cranico e alla terminazione presinaptica a livello di nucleo cocleare di questo stesso nervo (Kawasaki, 1996; Starr e Zaaroor, 1990; Melcher et al., 1996). L'onda IIa, distinguibile dalla IIb usando la stessa configurazione, rappresenterebbe invece il potenziale postsinaptico originato dal nucleo cocleare; la latenza tra i picchi Ib e IIa ha infatti una durata vicina a quella del ritardo sinaptico (0,5 ms) (Kawasaki, 1996).
L'onda III sembrerebbe essere prodotta, nel cane nel gatto e nell'uomo, nella porzione caudale del ponte dal corpo trapezoide e dal nucleo dorsale del corpo trapezoide (oliva superiore). Le onde IV e V invece originerebbero rispettivamente dalla porzione media e craniale del ponte a livello dei nuclei e dei tratti del lemnisco laterale e del collicolo inferiore (Chrisman, 1991; Chiappa, 1997). La vicinanza anatomica tra queste ultime due strutture è probabilmente la causa della frequente sovrapposizione tra le onde IV e V (Marshall, 1985). Le onde VI e VII non sono solitamente impiegate nell'interpretazione clinica, si ritiene comunque che queste siano prodotte rispettivamente dal corpo genicolato mediale e dalle radiazioni acustiche
Alcuni studi sembrerebbero mettere in discussione la relazione biunivoca tra una certa struttura anatomica e una particolare componente del tracciato BAEP, infatti la maggior parte di questi eventi elettrici deriverebbe dall'attivazione contemporanea di due o più strutture anatomiche appartenenti alle vie uditive (Achor e Starr, 1980; Melcher et al., 1996). Comunque, pur con queste premesse, l'errore di localizzazione dei generatori d'onda non sarebbe superiore ai 10 mm, livello di precisione sicuramente più che sufficiente per obiettivi clinici (Chiappa, 1997).
Tecnica di esecuzione, stimolazione acustica
Al paziente viene fornito uno stimolo acustico (click), ripetuto con una certa frequenza, registrando contemporaneamente i cambiamenti nell'attività elettrica del cervello che vengono evocati da ogni stimolo, e che sono temporalmente legati ad esso. Il risultato della registrazione è un tracciato, formato da una serie di 5-7 onde che descrivono le variazioni del potenziale di campo elettrico in funzione del tempo. Queste onde sono dette ‘a breve latenza' (short latency auditory potentials), in quanto vengono registrate nei 10 ms successivi alla stimolazione.
Lo stimolo impiegato in questo tipo di test è un suono secco, prodotto inviando un'onda elettrica di tipo rettangolare di 100 µsec di durata a una cuffia audiometrica. Si stimola un orecchio per volta, per evitare che, nel caso di patologie che colpiscono un solo orecchio, il tracciato normale generato dall'orecchio sano mascheri le alterazioni dell'orecchio malato. Ciononostante i click di stimolazione raggiungono anche l'orecchio controlaterale, pur con intensità molto ridotta, trasmessi dall'aria e dal tessuto osseo. Per evitare che questa stimolazione incrociata vada ad alterare il tracciato, è consigliabile mascherare l'orecchio controlaterale con un "rumore bianco" di fondo di 30-40 dB inferiore per intensità rispetto allo stimolo impiegato (Chiappa, 1997; Holliday e Te Selle, 1985).
Per ottenere un tracciato significativo è necessario effettuare 2 serie di almeno 500 stimolazioni alla velocità di 10 click al secondo. In alcuni casi è possibile aumentare questa velocità (Marshall, 1985; Shelton et al., 1993), anche se si va incontro ad una progressiva perdita di risoluzione del tracciato associata ad aumenti di latenza e diminuzione di ampiezza delle onde (Chiappa, 1997).
L'intensità di stimolazione viene misurata in "decibel normal hearing level" (dB HL). Gli 0 dB HL rappresentano nell'uomo la soglia uditiva media per quello stimolo di un gruppo di persone senza problemi di udito e corrisponde a circa 30 dB SPL (decibel sound pressure level) (Chiappa; 1997). Diversamente, la soglia uditiva del cane viene definita come l'intensità minima di stimolazione in grado di evocare ancora l'onda V evidenziabile sul tracciato BAEP (Steiss et al., 1990). La soglia uditiva media del cane è probabilmente intorno ai -10 dB HL nei soggetti non anestetizzati (Marshall, 1985), mentre può arrivare fino quasi a 50 dB HL nei cani sotto anestesia (Sims, 1990). L'aumento dell'intensità di stimolazione causa un'aumento progressivo dell'ampiezza delle onde e una riduzione della loro latenza assoluta fino ad un livello costante, mentre non cambia in modo significativo la latenza relativa tra i picchi (Bodenhamer et al., 1985; Marshall, 1985; Tokuriki et al., 1990; Sims e Moore, 1984; Kawasaki e Inada, 1994).
Solitamente il test inizia con un'intensità di stimolazione di 90-95 dB HL, e poi si riduce l'intensità di 5-10 dB per volta, fino a raggiungere la soglia uditiva del soggetto.
Il movimento iniziale del diaframma degli auricolari può essere o verso la membrana timpanica (condensation click) o in direzione opposta rispetto ad essa (rarefaction click). La polarità del click (rarefaction o condensation) influenza sia la latenza che la forma delle onde del tracciato. In medicina umana si raccomanda l'uso di "rarefaction click", perchè questa polarità di stimolazione dà origine di solito a tracciati più chiari (Chiappa, 1997). Nel cane si è visto che impiegando i click negativi (rarefaction) si riesce a registrare più spesso l'onda IV e a separare meglio l'onda III dalla IV (Moore et al., 1990; Sims e Moore, 1984), con la modalità "rarefaction" si ha inoltre una riduzione della latenza delle onde e della latenza tra i picchi rispetto alla "condensation" (Kawasaki e Inada, 1994).
In alcune circostanze, come ad esempio quando la risoluzione del tracciato è scarsa si può provare una stimolazione con polarità opposta (condensation); in questo modo si differenzia più facilmente la onda I dai potenziali microfonici cocleari, questi ultimi infatti, al contrario dell'onda I, invertono la polarità quando viene invertita la polarità dello stimolo, probabilmente a causa della loro origine piezoelettrica. In alcuni casi, quando gli artefatti da stimolo o i potenziali microfonici cocleari sono eccessivi, è possibile ridurre alcuni tipi di interferenza alternando la polarità dello stimolo (alternating click). E' comunque sconsigliato l'impiego della modalità alternata come unica polarità perchè può dare origine a fraintendimenti semantici sul tracciato (Chiappa, 1997; Kawasaki e Inada, 1994).
I BAEP possono essere ottenuti anche dalla stimolazione diretta delle ossa del cranio. Questo particolare tipo di stimolazione prevede la presenza di un trasduttore che esercita uno stimolo vibratorio sulle ossa del cranio, che attiva direttamente la coclea "bypassando" l'orecchio esterno e forse anche l'orecchio medio. Pertanto questo tipo di test permette anche di differenziare la sordità da alterata conduzione del suono (conductive deafness) dalla sordità neurosensoriale (sensorineural deafness) (Strain et al., 1993; Munro et al., 1997).
Elettrodi di Registrazione
La registrazione viene effettuata mediante elettrodi monopolari ad ago infissi nel sottocute. Questi elettrodi vengono indicati come "di riferimento" ed "esplorante" e vengono posizionati rispettivamente al vertice del cranio (Vertex o Cz) e all'estremità caudodorsale dell'arco zigomatico ipsilaterale rispetto all'orecchio stimolato, subito davanti alla pinna auricolare (Ai). Ai (-) Vertex (+) è una derivazione bipolare ed è la configurazione di base ai fini dell'interpretazione clinica dei BAEP; è comunque possibile, avendo a disposizione altri canali di registrazione, impiegare contemporaneamente anche altre configurazioni. A questo proposito può essere utile associare l'elettrodo al Vertex (+) anche a uno in posizione non cefalica (-), ottenendo una derivazione monopolare. E' stato infatti osservato nel cane che con una derivazione Nape (proiezione cutanea del processo spinoso di C4) – Vertex è possibile evidenziare i picchi aggiuntivi Ia, Ib, IIa e IIb .
Impiegando configurazioni di questo tipo si riscontra un simile sdoppiamento delle prime due onde anche nel gatto (Starr e Zaaroor, 1990; Melcher et al., 1996). Altre configurazioni utilizzabili sono Ac-Vertex e Ai-Ac, nelle quali l'elettrodo Ac si trova nella stessa posizione di Ai ma nell'orecchio controlaterale a quello stimolato (Moore et al., 1990).
Per la terra si utilizzano di solito degli elettrodi ad ago uguali a quelli impiegati per la registrazione, e come questi vengono infissi nel sottocute. L'elettrodo di terra può essere posizionato sia a livello cefalico che extracefalico e serve per ridurre gli artefatti dovuti all'attività muscolare.
La registrazione dei BAEP migliora quando si impiega un'amplificazione compresa fra le 200,000 e le 500,000 volte e quando la regolazione dei filtri è mantenuta su valori di 3 kHz per le alte frequenze e di 30-100 Hz per le basse frequenze.
In particolari circostanze, qualora il "rumore elettrico corporeo" sia eccessivo a causa di contrazioni muscolari involontarie può essere attivato anche un sistema di reiezione degli artefatti. Il tempo di registrazione della traccia viene mantenuto sempre su 10 ms (Chiappa, 1997).
Il test può essere effettuato su soggetti sedati (Munro et al., 1997; Kay et al., 1984; Marshall, 1985, Pook e Steiss, 1990; Tokuriki et al., 1990; Sims e Moore, 1984; Morgan et al., 1980), anestetizzati, o svegli, purchè siano ridotte al minimo le interferenze dovute alle contrazioni muscolari (Knowles et al., 1988; Bodenhamer et al., 1985; McAnulty et al.,1995; Holliday e Te Selle, 1985; Tokuriki et al., 1990).
Parametri misurati
Per utilità clinica i parametri che al momento della registrazione devono essere presi in considerazione sono: la soglia uditiva del soggetto, la latenza e l'ampiezza delle onde.
Nel cane la soglia uditiva, espressa in dB, viene definita come la più bassa intensità di stimolazione in grado di dare origine all'onda V (Steiss et al. 1990); la latenza di una data onda invece è il tempo, espresso in ms, che intercorre dall'applicazione dello stimolo all'insorgenza del picco positivo dell'onda, che per convenzione con le polarità delle configurazioni degli elettrodi utilizzate è rivolto verso l'alto; l'ampiezza dell'onda, espressa in mV, si misura dal suo picco positivo al picco negativo successivo (Kawasaki e Inada, 1994).
Sempre facendo riferimento alla latenza va considerata sia la latenza assoluta delle varie onde, sia le latenze relative tra i picchi o interpicco, soprattutto tra I e V (IPL; interpeak latencies), e la loro differenza fra le due orecchie (DIPL; differential interpeak latencies) (Kawasaki e Inada, 1994; Sims e Moore, 1984).
Le ampiezze assolute delle onde sono troppo variabili per un impiego clinico, mentre più utile da questo punto di vista è il rapporto tra le ampiezze delle onde I e V (I/V)(Chiappa, 1997; Kawasaki e Inada, 1994; Marshall, 1985). Oltre a questi parametri, di una certa utilità nella pratica clinica può essere anche lo studio della curva latenza-intensità, soprattutto per differenziare la sordità da alterata conduzione da quella neurosensoriale (Chiappa, 1997; Steiss et al., 1990).
Tracciato normale
I tracciati normali nel cane e nel gatto appaiono abbastanza simili a quelli registrati nell'uomo e negli altri mammiferi domestici, con una serie di onde aventi 5-7 picchi positivi principali, come mostrati nelle figure 3 e 4. Questi picchi positivi, come abbiamo visto, vengono solitamente indicati con i numeri romani nel cane e nell'uomo, mentre nel gatto alcuni autori usano indicarli con la lettera P seguita da un numero arabo; classificazione che permette di differenziare i picchi positivi dai negativi indicati con la lettera N.
Al fine di identificare correttamente le onde è importante conoscere gli intervalli normali di latenza (vedi tab.2) e l'ampiezza relativa delle diverse onde. Impiegando le tecniche di stimolazione e registrazione più comuni, nei tracciati BAEP del cane le onde più evidenti, cioè a maggior ampiezza, risultano in ordine decrescente la I, la V e la II, seguite dalle onde III, IV e VI. Fra queste l'onda V è forse la più riconoscibile perchè è seguita da un profondo picco negativo che la rende caratteristica (Sims e Moore, 1984; Bodenhamer et al., 1985; Sims, 1990). A volte per identificare correttamente la prima onda può rivelarsi utile modificare il tipo di stimolazione, rarefazione piuttosto che condensazione, al fine di invertire la polarità dei potenziali microfonici auricolari; evento di natura piezoelettrica che da l'inizio all'attivazione dell'ottavo nervo cranico e quindi alla generazione della prima onda.
Esiste una certa variabilità individuale nei tracciati normali anche all'interno della stessa specie. Tra le variazioni più evidenti possiamo ricordare lo sdoppiamento, la fusione parziale o totale tra due onde e lievi variazioni delle loro latenze. L'onda IV in particolare si presenta spesso fusa, in modo parziale o totale, alla V o alla III (Marshall, 1985; Sims e Moore, 1984).
Questa variabilità, che comunque non influenza la leggibilità e la comparazione dei tracciati, è probabilmente dovuta, oltre che a caratteristiche individuali dei soggetti (età, sesso, taglia e temperatura corporea) anche a differenze di intensità, di velocità, di polarità di stimolazione e di posizionamento degli elettrodi (Holliday e Te Selle, 1985). Tra i parametri soggettivi che più influenzano il tracciato sono la taglia (soprattutto le dimensioni del cranio) e la temperatura corporea; infatti i cani con il cranio più grosso così come quelli con temperatura più bassa hanno latenze maggiori (Pook e Steiss, 1990; Marshall, 1985; Bodenhamer et al., 1985).
Al riguardo, nell'uomo è stato osservato un aumento del tempo di latenza assoluta dell'onda V di 0,17 ms per ogni grado centigrado di diminuzione della temperatura corporea fra i 39 ed i 32,5 °C e tali considerazioni sembrano applicabili anche agli animali (Chiappa, 1997).
La registrazione dei tracciati BAEP è particolarmente "resistente" alle influenze date dai vari farmaci sedativi ed anestetici. Nei cani e nei gatti è stato provato che le latenze interpicco dei tracciati non sono modificate da dosi terapeutiche di farmaci deprimenti l'attività del sistema nervoso centrale, quali: pentobarbital, ketamina, alotano, isofluorano, cloralosio, benzodiazepine, fenotiazepine, e neppure da dosi di pentobarbital tali da rendere isoelettrica l'attività encefalica registrata mediante EEG (coma farmacologico). Le piccole variazioni talvolta riscontrate sono da imputare ad alterazioni della temperatura corporea (Chiappa, 1997).
Indicazioni cliniche dei BAEP
Attualmente,il maggior impiego clinico dei BAEP in Audiologia e Neurologia Veterinaria è rivolto alla diagnosi delle differenti forme di sordità e di alcune malattie neurologiche correlate.
Dal punto di vista clinico è possibile classificare le alterazioni d'udito dei cani e dei gatti in due categorie principali: sordità periferiche e centrali. Le prime, che sono di gran lunga le più frequenti negli animali domestici, sono dovute a lesioni della porzione periferica della via acustica, mentre le seconde sono provocate da lesioni retrococleari, estremamente rare nella forma pura.
Un'ulteriore suddivisione delle sordità periferiche fa ricorso a tre paia di descrittori, infatti esse possono essere ereditarie o acquisite, connatali o ad insorgenza tardiva, neurosensoriali o conduttive. Teoricamente la combinazione di queste tre coppie di caratteri dovrebbe dare origine ad otto diversi tipi di sordità periferica, mentre in pratica nei cani e nei gatti sono osservabili con una discreta frequenza solamente tre di queste forme: la sordità neurosensoriale connatale ereditaria, la neurosensoriale acquisita tardivamente e la conduttiva acquisita tardivamente.
La prima è spesso associata al gene responsabile della pigmentazione bianca del pelo; la seconda si osserva in caso di ototossicità, vecchiaia (presbiacusia) e otite interna; la terza, invece, è riferibile a otiti del tratto medio od esterne, oppure ad eccesso nella produzione di cerume. In alcune rare circostanze, come quelle osservabili in caso di malformazioni intrauterine, dovute a infezioni, tossicosi od anossia, è possibile osservare sordità sia neurosensoriali sia conduttive di tipo connatale acquisito.
La rarità delle forme di sordità centrale primaria dipende dal fatto che le vie che conducono le informazioni acustiche tendono a fondersi, sia anatomicamente sia funzionalmente, rostralmente ai nuclei cocleari. Pertanto, lesioni superiori a tale livello è quasi impossibile che producano sordità centrale monolaterale, mentre forme complete bilaterali necessitano di estese lesioni del tronco encefalico o del mesecefalo, oppure di una lesione bilaterale della corteccia auditiva. Questi ultimi tipi di sordità sono sempre accompagnati da segni neurologici di una certa gravità.
Sordità neurosensoriale congenita
Questo tipo di sordità non è evidenziabile clinicamente fino alle prime 3-4 settimane di vita, sia per motivi anatomici, il canale uditivo si apre approssimativamente al 14 e al 5 giorno di vita rispettivamente nei cani e nei gatti, sia per motivi comportamentali, infatti spesso i cuccioli in questo periodo sono lasciati esclusivamente alle cure parentali.
Sono colpite diverse razze di cani e di gatti, ma la maggiore prevalenza si osserva nei cani di razza Dalmata, Bull Terrier, Setter Inglesi e Cocker Spaniel. Fra i gatti sono colpiti quelli di razze aventi il mantello di colore bianco.
Il quadro istopatologico che si osserva nella maggior parte dei casi è conosciuto come degenerazione cocleo-sacculare o di Scheibe ed è un tipo di degenerazione permanente ed irreversibile. Nei soggetti che raggiungono maggiore età possono essere associate anche ipotrofia delle regioni uditive corticali e delle strutture della via acustica. Tale situazione però si ritiene dovuta non tanto ad un fatto degenerativo quanto ad un mancato sviluppo per assenza di stimoli (Knowles et al., 1988; Shelton et al, 1993; Steiss et al., 1990; Sims, 1990; Strain,1996).
Sordità di conduzione
La sordità dovuta difetti di conduzione, che colpisce tutte le specie animali senza una particolare predisposizione genetica, può essere il risultato di diverse situazioni patologiche; fra le più frequenti devono essere annoverate le otiti croniche medie ed esterne, per stenosi ed occlusione del canale uditivo esterno, oppure per accumulo di un'eccessiva quantità di cerume. Mentre più raramente si possono osservare anomalie di sviluppo degli ossicini (fusione), assenza del canale uditivo ed otosclerosi. A volte si osserva anche una assenza connatale della membrana timpanica, anche se stranamente questa alterazione non produce sordità clinicamente evidente (Strain,1996).
Ototossicità
Gli agenti ototossici possono causare perdita d'udito per effetti diretti sulle cellule capellute sia cocleari sia vestibolari, o per lesioni primarie alle strie vascolari con perdita secondaria delle stesse cellule capellute. Molti farmaci usati di routine in medicina veterinaria possono provocare questi tipi di lesioni, ma in particolare quelli ritenuti maggiormente responsabili per frequenza e gravità sono gli antibiotici aminoglicosidi (soprattutto gentamicina e streptomicina),i quali possono provocare danni gravi e scarsamente reversibili ai sistemi cocleare e vestibolare.
Clinicamente in alcune circostanze i cani ed i gatti colpiti manifestano alterazioni comportamentali che possono essere riferite a quelle che nell'uomo seguono il fenomeno del tinnitus (percezione di suoni ad alta frequenza inesistenti), con nervosismo e ricerca continua della provenienza del suono (Steiss et al., 1990; Sims, 1990; Morgan et al., 1980; Tokuriki et al., 1990; Strain et al., 1995; Merchant et al., 1993).
Presbiacusia
La presbiacusia è la progressiva perdita d'udito associata a vari tipi di disfunzioni che accompagnano l'invecchiamento e non deve essere confusa con le precedenti condizioni. Le alterazioni di questo tipo, che più frequentemente colpiscono i cani ed i gatti, sono quelle neurosensoriali, benchè spesso associate anche ad una diminuta flessibilità del timpano e delle articolazioni degli ossicini. Anche se questa forma ha uno sviluppo progressivo, spesso è percepita dal proprietario in modo acuto al raggiungimento della sordità completa, momento in cui il cane od il gatto non riescono più a compensare la funzione uditiva con gli altri sensi. I sintomi associati a questa forma sono modesti, infatti gli animali nei primi tempi si limitano a scuotere la testa, come se avessero un corpo estraneo nel condotto uditivo, mentre successivamente si adattano alla sensazione (Knowles et al., 1988).
Altre condizioni patologiche
Altre condizioni patologiche osservabili meno frequentemente, ma che comunque possono provocare sordità periferica nel cane e nel gatto sono l'anossia tissutale, l'anestesia, i traumi e le infezioni, quali otiti interne e meningiti (Strain,1996).
Le alterazioni dei tracciati BAEP in caso di sordità completa dovuta ai suddetti problemi periferici sono riferibili ad assenza completa dell'onda I a carico dell'orecchio interessato, così come di tutte le onde che normalmente la dovrebbero seguire. Nella sordità periferica parziale, come quella osservata in corso di presbiacusia o di ototossicosi, l'onda I è ancora visibile ma presenta una latenza di comparsa dallo stimolo aumentata ed una ridotta ampiezza.
Nel caso in cui si sospetti un tipo di sordità da alterata conduzione del suono, è possibile eseguire il test utilizzando uno stimolatore osseo in sostituzione dello stimolatore acustico. La stimolazione ossea, che avviene generalmente a livello del processo mastoideo, permette alle vibrazioni prodotte di raggiungere le strutture cocleari senza passare per l'orecchio medio. I tracciati ottenuti sono sovrapponibili a quelli ottenuti con la stimolazione acustica ma con un lieve spostamento a sinistra della onde.
Per quel che riguarda lo studio delle malattie del sistema nervoso centrale, tale test ha dimostrato una buona sensibilità nella diagnosi precoce di neoplasie intracraniche con interessamento del tronco encefalico (Fischer e Obermaier, 1994) e nella diagnosi e caratterizzazione degli infarti del tronco encefalico nel cane (Uno et Al, 1988).
Le anomalie dei tracciati BAEP in tali circostanze, pur non fornendo informazioni eziologiche possono fornire preziose indicazioni sulla localizzazione della lesione all'interno del sistema nervoso centrale. Infatti, un'aumento del tempo di latenza interpicco fra le onde I e III (IPL I-III) suggerisce la presenza di un difetto di conduzione del sistema uditivo all'interno del tronco encefalico, tra la porzione prossimale del VIII Nervo Cranico ed il limite posteriore del ponte. Mentre, un'aumento della latenza fra le onde III e V (IPL III-V) presuppone un difetto di conduzione del sistema uditivo del tronco encefalico fra la porzione caudale del ponte e il mesencefalo.
Conclusioni
I potenziali evocati auditivi sono una tecnica nuova ma di estrema utilità per il veterinario, poichè permette di ottenere informazioni oggettive di funzioni nervose difficilmente indagabili attraverso le normali procedure cliniche. Comunque, pur essendo una tecnica da poco introdotta nella pratica clinica veterinaria e che necessita ancora di studi per poter giungere ad una completezza operativa, dispone già di un paradigma semeiologico che permette di affrontare le più frequenti situazioni patologiche che colpisco il sistema uditivo degli animali domestici. Inoltre, sono già in corso studi sulle possibili applicazioni nei confronti di varie malattie di estrema attualità nella ricerca biomedica, quali le patologie degenerative croniche del sistema nervoso centrale (malattie prioniche) e le alterazioni neurologiche presenti nello stato di coma, nel dolore e nella morte cerebrale.
I limiti principali di questo esame risiedono attualmente negli elevati costi dell'attrezzatura e nella difficoltà di formare personale altamente qualificato in grado di poterla utilizzare. Per questo motivo questo tipo di prestazione medica al giorno d'oggi è disponibile esclusivamente presso centri di referenza specializzati in Audiologia e Neurofisiologia Clinica con funzioni sia di ricerca sia di consulenza per i veterinari liberi professionisti.
1. PATOGENESI DEL PRURITO
La patogenesi del prurito non è ancora oggi completamente conosciuta; tutto quello che sappiamo deriva da studi sul dolore, sensazione che condivide con il prurito molti meccanismi molecolari e neurofisiologici. Il prurito è una sensazione cutanea specifica mediata da una subpopolazione di fibre nervose non mielinizzate (Fibre C) che raccolgono e poi trasmettono lo stimolo alle vie afferenti periferiche sino alla corteccia cerebrale. In questa sede il prurito diviene sensazione cosciente. Il prurito scatena nell'animale un riflesso motorio che lo porta a grattarsi. Il grattamento stimola i meccanocettori e i recettori del dolore presenti nella cute che inibiscono temporaneamente, attraverso un blocco interneuronale, la sensazione di prurito. Lo stesso succede anche se vengono stimolati i termocettori cutanei con sensazioni di freddo o caldo.
Le terminazioni nervose sensoriali possono essere stimolate da numerosi mediatori. Tra questi, alcuni sono prodotti dall'organismo (mediatori endogeni), altri (mediatori esogeni) sono prodotti dai microrganismi (batteri, lieviti) o sono presenti nell'ambiente esterno e possono venire a contatto con la cute o essere inoculati (punture di insetti).
2. CAUSE
Le cause di prurito nel cane sono molteplici, tra queste le dermatiti allergiche, le dermatiti parassitarie e le infezioni batteriche e fungine sono considerate le più frequenti. Due concetti importanti nella fisiologia del prurito sono il concetto di "soglia del prurito" e "l'effetto sommatorio degli stimoli". Il prurito è una sensazione che viene percepita quando l'intensità dello stimolo, o l'insieme delle intensità di diversi stimoli che sono presenti contemporaneamente in uno stesso soggetto, supera il limite massimo di tolleranza o "soglia del prurito". Questo limite di tolleranza non è uguale in tutti gli animali ma è soggetto a variazioni individuali. Questo fa sì che, in un cane con una soglia di prurito bassa, siano necessari uno o pochi stimoli per indurre l'animale a grattarsi; viceversa, in un animale che ha una soglia di prurito alta, a parità di stimoli, il prurito viene percepito in forma lieve e non sufficiente a scatenare il riflesso motorio del grattamento. Inoltre alcuni fattori quali lo stress, molto più importante nell'uomo, o la secchezza cutanea (xerosi), possono sommare i loro effetti ad altri agenti causali amplificando la sensazione di prurito e portando l'animale a grattarsi. Infine, fattori psicogeni come la noia possono abbassare la soglia individuale facendo sì, per esempio, che cani atopici si grattino maggiormente di notte quando la presenza degli stimoli esterni che distraggono il soggetto è minore.
APPROCCIO CLINICO
Per individuare con esattezza la o le cause di prurito è importante adottare un approccio sistematico, che inizia con la raccolta di un'anamnesi completa, continua con un esame fisico generale e dermatologico e si conclude con l'esecuzione di esami collaterali, e, se necessario, con la valutazione della risposta a una terapia specifica.
ANAMESI
L'età d'insorgenza del prurito è la prima informazione importante da ottenere. I cuccioli che vengono da allevamenti o negozi sono più esposti a contrarre dermatiti parassitarie, quali la rogna sarcoptica o la cheyletiellosi. L'allergia alimentare si manifesta più frequentemente nei cani fra i 3 e i 6 mesi d'età, mentre la dermatite atopica nei soggetti fra 1 e 3 anni. Da quanto tempo è presente il prurito è un'altro dato importante. Un prurito cronico e costante è suggestivo di malattie allergiche, e meno probabilmente di infestazioni parassitarie che debbono essere considerate sempre nella diagnosi differenziale di un prurito acuto che peggiora progressivamente. La ciclicità (prurito stagionale) ci indirizza verso infestazioni di parassiti presenti nell'ambiente in determinati periodi dell'anno (infestazioni da pulci, trombiculosi) o verso un'allergia stagionale (pollini, erbe). È importante valutare l'intensità del prurito. La rogna sarcoptica è la malattia cutanea associata ad un prurito di grande intensità. Un prurito grave è anche suggestivo di allergia/intolleranza alimentare, dermatite atopica o infezione da Malassezia. Il contagio di più animali o persone, deve far sospettare una malattia infettiva come la rogna sarcoptica o la cheyletiellosi.
L'anamnesi farmacologica, infine, ci può fornire informazioni molto importanti. Ad esempio, se il prurito scompare completamente con la terapia antibiotica è probabile che sia dovuto a piodermite, se invece diminuisce sensibilmente con gli antistaminici è probabile che il problema sia di natura allergica (dermatite atopica). La risposta ai corticosteroidi invece è un dato poco specifico poiché questi possono inibire inizialmente il prurito di qualsiasi eziologia e possono indurci a sovra-diagnosticare le allergie. Tuttavia una scarsa risposta a questa molecola può essere suggestiva di reazioni avverse al cibo o di reazioni medicamentose. Talvolta i farmaci possono causare reazioni indesiderate, spesso accompagnate da prurito (dermatite irritativa o allergica da contatto). Questo capita più frequentemente con i trattamenti topici, quali shampoo, spray (antiparassitari e non), creme, lozioni e preparati otologici.
Cause più frequenti di prurito nel cane.
ASPETTO CLINICO
L'aspetto delle lesioni cutanee può variare a seconda della causa di prurito. Spesso si osservano lesioni secondarie all'autotraumatismo quali
escoriazioni, ulcerazioni e croste. È importante individuare le lesioni primarie che eventualmente ci aiutano nel definire la o le cause più probabili. Ad esempio, la sola presenza di eritema in sedi "tipiche" è suggestiva di una dermatite allergica Le papule possono essere considerate transitorie, in quanto possono evolvere in una pustola, come nel caso di una piodermite, o permanenti, qualora dovute all'accumulo di cellule infiammatorie nel derma come nella rogna sarcoptica o nella pulicosi. La presenza di pustole e di collaretti epidermici suggerisce la presenza d'una piodermite, che può essere considerata una complicanza o la causa della dermatite pruriginosa. Sarà il clinico, che con l'uso di un approccio logico, determinerà il ruolo dell'infezione nel caso specifico. Se il prurito scompare con la terapia antibiotica, sicuramente è secondario all'infezione batterica; invece, se il prurito persiste, possiamo pensare che la piodermite sia secondaria ad altra causa di prurito. Se la cute appare lichenificata, iperpigmentata e con scaglie grasse, la causa più probabile è una dermatite da Malassezia o una sovracrescita batterica. La sede del prurito è spesso un criterio molto importante per orientare la diagnosi delle dermatiti pruriginose. Il prurito caudale, alla base della coda, sulle cosce e sull'addome deve fare sospettare un'infestazione o un'allergia alle pulci; il prurito localizzato sul muso, faccia interna dei padiglioni auricolari, superficie ventrale del corpo e agli spazi interdigitali è suggestivo di dermatite atopica o allergia/intolleranza alimentare. Infine, un prurito ai margini dei padiglioni auricolari e alla faccia laterale degli arti è più comunemente osservabile in soggetti affetti da rogna sarcoptica. Eritema degli spazi interdigitali in un cane affetto da dermatite atopica. Papule localizzate al gomito di un soggetto affetto da rogna sarcoptica. Pustole e collaretti epidermici. Iperpigmentazione e lichenificazione della cute del collo in un cane affetto da dermatite da Malassezia.
APPROCCIO CLINICO
L'approccio sistematico e ordinato ad un caso medico è molto importante per raggiungere la diagnosi definitiva corretta. Nel caso di dermatite pruriginosa, un approccio frettoloso ci può portare, ad esempio, a trattare con corticosteroidi un cane con una rogna sarcoptica, con il conseguente peggioramento della sintomatologia clinica e possibile contagio dei proprietari, o ad aumentare la dose della terapia antinfiammatoria in un cane con dermatite atopica complicata da infezione batterica secondaria. Esempio di approccio clinico ad una dermatite pruriginosa
1. Valutare la possibilità che si tratti di una ectoparassitosi (rogna sarcoptica, cheyletiellosi) in base alla storia clinica e alla presenza
di lesioni compatibili. Effettuare raschiati superficiali multipli per la ricerca degli acari. In caso che i raschiati siano negativi ma la storia clinica e l'esame dermatologico siano fortemente suggestivi di rogna sarcoptica, si consiglia di eseguire una prova terapeutica impiegando lattoni macrociclici (es. selamectina, milbemicina etc.), trattando anche gli animali conviventi.
2. Valutare la presenza di infezioni batteriche e/o di Malassezia. Con l'esame dermatologico si individuano le lesioni cutanee compatibili come papule, pustole, collaretti epidermici, aree di lichenificazione e iperpigmentazione e con l'esame citologico si conferma la presenza di batteri e/o di Malassezia.
Una volta individuato l'agente eziologico, si instaura la terapia antibiotica e/o antimicotica (con attività sulla Malassezia) sistemica associata a shampoo medicati, per almeno tre settimane. Se il cane non ha una ectoparassitosi né un'infezione batterica o da Malassezia, o se al controllo dopo la terapia il prurito persiste, molto probabilmente il soggetto soffre di una dermatite allergica. A questo punto è importante definire se il prurito è stagionale o no, perché in base a questo dato decideremo il protocollo e la terapia da seguire. Iter diagnostico delle dermatiti allergiche nel cane Eseguire un radicale trattamento contro le pulci su tutti gli animali di casa impiegando un preparato adulticida e un regolatore della crescita per almeno 8 settimane. Questa procedura è imprescindibile, non solo per fare la diagnosi di dermatite allergica al morso di pulci, ma anche per controllare un fattore che, in un cane con un'altra dermatite allergica sotto controllo farmacologico o sub-clinica, potrebbe scatenare n peggioramento improvviso, amplificando la sensazione di prurito. Questa terapia/test diagnostico si dovrebbe effettuare in tutti casi di prurito allergico sia stagionale che no. In quei cani con un prurito stagionale che non viene controllato con la sola profilassi antipulci è possibile fare diagnosi clinica di dermatite atopica stagionale. Se il prurito è presente per un breve periodo dell'anno (meno di 6 mesi), non conviene eseguire le prove allergologiche, ma trattare ciascun episodio con la sola terapia sintomatica (antistaminici, glucocorticoidi, shampooterapia, acidi grassi essenziali) mantenendo il trattamento contro le pulci. Eseguire una dieta ad eliminazione per minimo 8 settimane in tutti quei casi con un prurito periennale che non è stato possibile controllare solo con la profilassi antipulci. In quei cani con un prurito periennale che non è controllato con la profilassi antipulci né con la dieta ad eliminazione, è possibile fare una diagnosi clinica di dermatite atopica non stagionale. Le prove allergologiche hanno l'unico scopo di selezionare gli allergeni per una immunoterapia specifica.
3. TERAPIA
Qualora l'iter diagnostico abbia permesso di individuare l'agente o gli agenti responsabili del prurito, la terapia migliore consiste nella loro
eliminazione. Questo è possibile in particolare in caso di malattie parassitarie (rogna sarcoptica, otodectica o cheyletiellosi) ove i farmaci antiparassitari a disposizione consentono una rapida risoluzione della sintomatologia. Anche in caso di allergia alimentare, è possibile controllare il prurito escludendo dalla razione l'alimento o gli alimenti verso cui il soggetto è sensibilizzato. Il prurito associato ad infezioni (batteriche e fungine) viene controllato in maniera efficace con terapie antibiotiche o antifungine adeguate. Tuttavia, molto spesso piodermiti e dermatiti da Malassezia rappresentano la complicazione secondaria di una malattia allergica, e senza una gestione adeguata di queste ultime le infezioni sono destinate a recidivare. La dermatite atopica è una malattia cronica che non è possibile guarire ma soltanto controllare in modo efficace. Idealmente, l'eliminazione degli allergeni responsabili è la terapia di elezione. Quando questo non è possibile, si rende necessaria l'immunoterapia o una terapia sintomatica. l'immunoterapia è la scelta di elezione se il prurito è presente più di sei mesi l'anno. A volte si rende necessaria, in attesa dell'effetto del vaccino o per integrarne i benefici, l'impiego della terapia sintomatica, nonché il controllo di altre eventuali allergie, e delle infezioni secondarie concomitanti. La terapia sintomatica impiega farmaci antiprurito per via sistemica o topica. Tra i farmaci sistemici i corticosteroidi sono i più efficaci.
Essi sopprimono l'infiammazione inibendo le fosfolipasi delle membrane cellulari, e bloccano così la produzione di mediatori pro-infiammatori, quali le prostaglandine e i leucotrieni, a partire dall'acido arachidonico.Purtroppo il cortisone ha molti effetti collaterali quali, ad esempio, poliuria e polidipsia, ed aumenta la suscettibilità dell'animale alle infezioni secondarie (specie cistiti). È quindi preferibile il suo impiego inseme ad altri farmaci antiprurito, quali gli antistaminici, che agiscono causando un blocco competitivo e reversibile dei recettori H1 per l'istamina, presenti nei tessuti. L'impiego di queste associazioni consente di abbassare il dosaggio di prednisolone anche del 50% nei soggetti che necessitano di terapia cortisonica per lunghi periodi, riducendone al minimo gli effetti collaterali. La ciclosporina è un farmaco che inibisce selettivamente l'attività dei linfociti T bloccandone l'attivazione cellulare. Essa ha inoltre un'attività inibitoria sulla degranulazione e sulla proliferazione dei mastociti, e dei granulociti eosinofili.
È stata recentemente impiegata in cani atopici. Gli effetti della terapia sono apprezzabili dopo circa 20-30 giorni, e la riduzione del prurito e
delle lesioni (eritema, seborrea ecc.) è paragonabile a quella che si ottiene con il cortisone.
4. CONCLUSIONI
Il prurito nel cane è un sintomo frequente e comune. Non si conoscono con esattezza i meccanismi con cui il cane, come gli altri animali, percepisce questa sensazione, tuttavia si sa che, come negli altri animali, questa sensazione induce il bisogno di grattarsi, leccarsi o strofinarsi. Le cause di prurito nel cane sono molte, e nella maggioranza dei casi è difficile individuarle senza ricorrere ad un approccio clinico ordinato e sistematico.
L'intento di questa trattazione è dare ai "non addetti ai lavori" alcuni concetti elementari su che cosa è la displasia dell'anca, è ovvio che per la complessità dell'argomento, questa trattazione può prestare il fianco a critiche e puntualizzazioni da parte dei lettori più esperti, che se pur bene accette, non sono si prestano agli scopi di questo lavoro.
La displasia dell'anca è una anomalia di formazione e di sviluppo dell'articolazione coxo-femorale che può essere riscontrata in tutte le specie di animali domestici ma assume particolare risalto nel cane.Consiste in una malformazione dell'articolazione coxo-femorale nella sua componente acetabolare (displasia dell'anca di tipo acetabolare), femorale (displasia dell'anca di tipo femorale ) o di entrambe le componenti, ciò produce un'incongruenza tra le superfici articolari con conseguente alterazione delle stesse; ciò porta inevitabilmente a malattia degenerativa articolare o artrosi cronica.E' la malattia ortopedica di origine non traumatica più diffusa e conosciuta nei cani di taglia media, grande e gigante (taglie canine in cui la malattia ha maggior prevalenza e soprattutto si manifesta con maggior gravità). Essa costituisce la malattia ereditaria del cane che da più anni è stata oggetto di studi e di programmi di controllo; è stata studiata e diagnosticata in oltre 150 razze canine.
Le Cause
Questa è una patologia multifattoriale, ossia numerosi fattori, quali quelli genetici, ambientali e nutrizionali, entrano in gioco nel suo sviluppo e nel determinarne la gravità .La displasia dell'anca è considerata una malattia ereditaria, pur non essendo congenita, con modalità di trasmissione determinate da numerosi geni,cosa che ne rende difficile l'identificazione dei soggetti portatori. Ciò significa che la malattia può essere trasmessa, con modalità ancora non chiarite, da un genitore ad un discendente, ma non è comunque presente quando il cane nasce perché la stessa articolazione si conforma durante il periodo della crescita.Le alterazioni anatomiche poligenetiche si osservano sul processo di formazione dell'acetabolo, oppure sullo sviluppo dei mezzi di contenimento, attivi (muscoli del bacino), e passivi (legamento rotondo e capsula articolare) dell'articolazione coxo-femorale. Indipendentemente dai fattori ereditari, anche caratteristiche morfologiche di razza e condizioni endocrine individuali possono rivestire un ruolo complementare nella genesi della malattia.
Tra le condizioni ambientali, il movimento troppo intenso di cuccioli in rapido accrescimento, eccessivamente pesanti, tenuti liberi in ambiente accidentato, può favorire l'aggravamento della condizione patologica. Anche il sesso dell'animale può condizionare la comparsa della displasia; nel cane le femmine sono colpite in rapporto 3:1 rispetto ai maschi, questo è dovuto alla presenza di estrogeni, in quanto la relaxina determina un rilassamento della capsule articolare. Nei cani displasici, la cavità acetabolare risulta troppo ampia, poco profonda e con margini insufficientemente rilevati. Ne risulta una instabilità della testa del femore nel corso del movimento che, con il progredire dello sviluppo dell'animale determinano manifestazioni consequenziali di tipo artrosico.Nei cani con displasia dell'anca, le modalità con cui si presentano i segni clinici e la loro gravità variano notevolmente da un soggetto all'altro. Il cane appare comunemente riluttante a muoversi, perché cerca di proteggere l'articolazione dolente.
Si riscontra anche una modificazione del modo di correre, in quanto l'animale cerca di proteggere l'articolazione dolente assumendo una nuova andatura, che richieda minor movimento a livello dell'anca. L'animale può manifestare un quadro clinico caratterizzato da difficoltà ad alzarsi, a procedere ad andatura normale e a sdraiarsi, e mostrare dolore in seguito a manualità sugli arti posteriori.
Il controllo della malattia
Non essendo ancora state identificate le mappe genetiche del cane e quindi non essendo ancora stati identificati i geni responsabili della malattia per poter individuare i soggetti portatori, il controllo di queste razze può essere effettuato oggi solo attraverso lo screening del fenotipo (ossia come sono fatte le articolazioni) dei riproduttori e di quanti più parenti possibili. Il controllo del fenotipo, infatti, avviene attraverso lo studio radiografico delle articolazioni delle anche e lo studio viene eseguito all'età minima di un anno, per essere certi che le anche abbiano completato il loro sviluppo. L'età minima richiesta è di 12 mesi per tutte le razze, eccetto però quelle giganti (alani, molossi , s. bernardo , terranova , mastino napoletano) per le quali è di 18 mesi; altra eccezione riguarda razze come Leonberger, Rottweiler, Briard, Grande bovaro svizzero e Bovaro del Bernese per le quali l'età è di 15 mesi. Per i soggetti che vengono radiografati ad un'età superiore si deve tener conto delle modificazioni artosiche secondarie. L'esame radiografico viene effettuato sul cane anestetizzato o profondamente sedato e mantenuto in decubito dorsale.
Radiografia
Modalità di controllo della displasia nel mondo
In tutti i paesi dove la displasia si è sviluppata sono diventati operativi dei programmi di controllo che, presuppongono dei protocolli ufficiali tali da rendere accreditate, a livello nazionale ed internazionale, le certificazioni conseguite. Per la diversità temporale ed ambientale in cui si sono sviluppate tutte queste esperienze nei vari paesi del mondo, sono stati utilizzati diversi sistemi per il controllo e la classificazione della displasia dell'anca ed ancora oggi sono difficili i confronti tra le certificazioni emesse dai vari paesi e dalle varie organizzazioni.La Commissione Scientifica della FCI ha cercato di razionalizzare la classificazione della displasia dell'anca proponendo una classificazione in cinque gradi (A,B,C,D,E) che è stata adottata da molte nazioni e che permette comunque un confronto con quelle utilizzate in altri paesi che hanno mantenuto le loro precedenti classificazioni. La classificazione della FCI, ulteriormente suddivisa in sottoclassi (A1, A2; B1, B2; C1, C2; D1, D2; E1, E2) permette un immediato confronto ed una facile comparazione con le diverse classificazioni di Stati Uniti d'America, Regno Unito, Finlandia, Olanda, Svezia e Norvegia.
Protocollo e classificazione FCI
Le norme per l'esecuzione e l'interpretazione delle radiografie sono state formalizzate come riportato di seguito:A) l'età minima per la lettura dei radiogrammi è di un anno e, per le razze giganti, di un anno e mezzo.B) i cani devono essere identificati attraverso sistemi di riconoscimento quali tatuaggi o microchip. La stessa identificazione deve comparire sul pedigree e sul radiogramma.C) Sul radiogramma deve comparire il numero di identificazione del soggetto esaminato, la data in cui è stato effettuato ed il simbolo D ed S che identifichi sulla radiografia l'anca destra o l'anca sinistra del cane. D) Il proprietario deve sottoscrivere l'autenticità dell'identità del cane radiografato. Il proprietario deve inoltre autorizzare il veterinario affinché possa trattenere la radiografia. Il veterinario deve confermare di aver verificato l'identità del cane, dichiarare se abbia sottoposto l'animale a sedazione o ad anestesia e se il cane è stato giudicato sufficientemente rilassato.E) Le radiografie dovranno essere archiviate in un archivio centralizzato.F) La diagnosi dovrà essere posta sulla scorta di almeno una proiezione radiografica ventro-dorsale con le zampe estese (posizione standard 1). Potrà essere analizzata anche una seconda radiografia con le zampe flesse (posizione standard 2).G) La radiografia dovrà avere una misura minima da contenere almeno entrambe le anche ed entrambe le rotule.H) La qualità tecnica delle radiografie dovrà consentire una diagnosi accurata dello stato delle anche.I) Se le regole precedenti non sono rispettate integralmente le radiografie dovranno essere respinte. J) Le radiografie dovrebbero essere interpretate da un esperto accreditato o da un gruppo di lettori scelti dal club di appartenenza del cane radiografato.K) Ogni centrale di lettura nazionale dovrebbe consentire la possibilità di appello rivolgendosi alla centrale di lettura del Comitato Scientifico della FCI.
La testa del femore e l'acetabolo sono congruenti. Il margine acetabolare cranio-laterale appare netto e leggermente arrotondato. La rima acetabolare è sottile ed uniforme. L'angolo acetabolare secondo Norberg è di circa 105° o superiore.Nelle anche giudicabili eccellenti il margine acetabolare cranio-laterale include la testa del femore ancora di più in direzione latero-caudale.B) anche quasi normali.
La testa del femore e la cavità acetabolare sono leggermente incongruenti e l'angolo secondo Norberg è di circa 105°, oppure l'angolo di Norberg è inferiore a 105°, ma il centro della testa del femore si trova medialmente rispetto al margine acetabolare dorsale mentre la testa del femore e l'acetabolo sono congruenti.C) leggera displasia dell'anca
La testa del femore e l'acetabolo sono incongruenti, l'angolo secondo Norberg è di circa 100° e/o sussiste un leggero appiattimento del margine cranio-laterale dell'acetabolo. Sono presenti lievi irregolarità o leggeri segni di artrosi a carico del margine acetabolare craniale, caudale o dorsale od in corrispondenza del collo o della testa del femore.D) displasia di grado medio
E' presente un'incongruenza evidente tra testa del femore e cavità acetabolare con sublussazione. L'angolo acetabolare secondo Norberg è compreso tra 90 e 100°. Sono presenti segni riferibili ad osteoartrosi ed è evidente l'appiattimento del margine acetabolare cranio-laterale
Sono presenti modificazioni displastiche evidenti delle articolazioni coxo-femorali quali lussazione o marcata sublussazione, l'angolo acetabolare secondo Norberg è minore di 90°, c'è appiattimento del margini acetabolare craniale, deformazione della testa del femore (testa a fungo, appiattita) o altri segni di osteoartrosi.Questa classificazione deve essere fatta sulla scorta del solo referto radiografico e deve essere il più obiettiva possibile. Lo schema di classificazione può essere adattato a cani più anziani tenendo in considerazione i segni secondari di artrosi in relazione all'età del cane.
Abbastanza frequente nei nostri cani, interessa solitamente l'orecchio esterno, solo in caso di perforazione del timpano e di gravi otiti esterne trascurate si può diffondere alle altre zone più profonde con gravi conseguenze.
Le cause
Possono essere svariate; se il nostro cane esce e scorrazza nell'erba alta nella stagione calda, potrebbe anche avere un corpo estraneo vegetale che è penetrato nell'orecchio.
Se frequenta altri animali, soprattutto randagi, o se è un trovatello, quasi sempre avrà degli ospiti indesiderati nell'orecchio: gli acari. Questi sono gli agenti della rogna otodettica; si tratta di una forma di rogna localizzata esclusivamente nell'orecchio esterno.
Colpi d'aria e raffreddamenti possono anche essere all'origine di infiammazioni dell'orecchio che se trascurate tendono a complicarsi con infezioni.
La maggior parte delle cause di otiti sono, infatti, batteri e funghi, specificamente Stafilococchi, Pseudomonas, Malassezia. Questi trovano nell'orecchio infiammato l'ambiente caldo e umido ideale per proliferare.
Sintomi
Le otiti sono sempre molto fastidiose e spesso molto dolorose, difficilmente passano inosservate e il proprietario scrupoloso dovrebbe condurre dal veterinario il suo cane non appena si accorge del problema.
Non sottovalutiamole mai e vediamo di combatterle appena compaiono.
Come ci accorgiamo che il nostro cane è affetto da otite?
L'animale ha forte fastidio e dolore all'orecchio ed i suoi atteggiamenti lo mostrano chiaramente.
Si gratta con insistenza le orecchie con le zampe sia anteriori sia posteriori, e spesso si procura anche delle ferite.
Strofina le orecchie su vari oggetti morbidi, spesso scuote la testa violentemente.
Altro segno di otite è l'odore; l'orecchio sano non emana alcun odore, al contrario l'orecchio interessato da un otite è intensamente maleodorante.
Inoltre, guardando all'interno, si può notare abbondante secreto, quasi sempre giallastro o marrone scuro.
L'orecchio può anche apparire caldo e rosso, si può anche vedere il soggetto che tiene le orecchie abbassate e la testa storta.
L'animale è apertamente restio a farsi toccare e ispezionare l'orecchio dolente.
Secondo il tipo di secreto e del modo in cui compaiono i sintomi, possiamo già indirizzarci sulla causa dell'otite che affligge il nostro cane.
Vediamo quali sono i principali motivi di otite e come si manifestano.
Otite da corpo estraneo
Si tratta praticamente sempre di frammenti vegetali, che si impigliano nei peli dell'orecchio e discendono il dotto fino al timpano. Spesso ne provocano la perforazione con forte dolore per l'animale.
Caratteristica di questa otite è l'insorgenza improvvisa, al rientro dalla passeggiata il cane manifesta fastidio ad un orecchio e tiene la testa inclinata dal lato offeso. Il problema compare stagionalmente nel periodo estivo, quando tra la vegetazione maturano le spighette.
In poco tempo, ai sintomi sopra descritti, si associano cattivo odore e forte secrezione per l'infezione che si instaura nell'orecchio in seguito agli insulti che provoca la presenza del corpo estraneo.
Otite da batteri e funghi
Batteri e i funghi sono presenti sulla pelle del cane. In condizioni normali le naturali difese dell'animale sono generalmente in grado di limitare la crescita e lo sviluppo di questi microrganismi. Quando l'orecchio viene sottoposto a insulti di varia natura che lo irritano, le condizioni diventano particolarmente favorevoli alla loro proliferazione e l'orecchio si trova più esposto all'insorgenza di infezioni. Colpi d'aria, raffreddamenti, traumi, sono spesso all'origine di un'otite infetta. Tutte le volte che un corpo estraneo, o dei parassiti, affliggono l'orecchio si instaura anche un'infezione a complicare le cose. Gli agenti microbici che proliferano in maniera opportunista più frequenti sono gli Stafilococchi, che producono un secreto giallastro, lo Pseudomonas che dà origine ad un secreto tendente al verdino, e la Malassezia. L'otite di questo tipo colpisce solitamente un solo orecchio.
Otite parassitaria
E' caratteristica per l'abbondante formazione di cerume scuro sopra il quale, con una lente d'ingrandimento, si possono vedere bene dei piccolissimi animaletti chiari che scorrazzano indisturbati. E' sempre maleodorante e bilaterale in quanto i parassiti passano da un orecchio all'altro. Gli acari si prendono frequentando l'ambiente dove vivono animali infestati.
Otite cronica proliferativa
Questa compare quando l'otite viene trascurata. La mancata cura e guarigione comporta un'irritazione prolungata del condotto uditivo che risponde con una proliferazione abnorme fino ad occludere parzialmente o completamente l'orecchio. In queste condizioni diventa praticamente impossibile detergere l'orecchio e curare l'otite, il fastidio e l'odore sono continui, spesso è indispensabile ricorrere alla chirurgia.
Otoematoma
Ricordiamo anche questa malattia dell'orecchio perché è quasic sempre causata da un'otite.
Quando l'animale scuote violentemente la testa e si gratta furiosamente per il fastidio che gli procura un'otite, può arrivare a rompere un vaso sanguigno all'interno del padiglione auricolare. La pressione del sangue che fuoriesce dal vaso scolla la cute dalla cartilagine sottostante e forma una grossa bolla di sangue che rende l'orecchio simile ad un "raviolo".
In queste condizioni il peso fa pendere l'orecchio verso il basso.
Nello stadio iniziale l'otoematoma è curabile, il veterinario si occupa di svuotare la raccolta di sangue ed eventualmente fissare la cute alla cartilagine sottostante con dei punti.
Se si lascia passare qualche giorno il sangue viene sostituito da tessuto cicatriziale e l'otoematoma non è più risolvibile. L'orecchio si ispessisce e si accartoccia, restando pendente e deformato per il resto della vita dell'animale.
Terapia
Terapia mirata e pulizia accurata sono fondamentali per una pronta guarigione e remissione della sintomatologia. Eccessi di peli all'interno dell'orecchio devono essere tolti.
Eventuali corpi estranei devono essere prontamente individuati e rimossi.
A seconda della causa che scatena l'otite si interverrà con il prodotto più indicato da instillare nell'orecchio: antibatterico, antimicotico, antiparassitario; ne esistono diversi in commercio, quasi sempre associati ad un antinfiammatorio per lenire il fastidio e l'infiammazione.
A volte, quando l'otite tende a complicarsi, diffondendo all'orecchio medio, si rende indispensabile una copertura antibiotica generalizzata.
Nei casi resistenti alle terapie è indicato eseguire delle prove in laboratorio con un campione di secreto per individuare il microrganismo responsabile e la terapia più adatta.
Quando un cane è colpito da micosi, i sintomi sono sempre evidenti e comprendono semplici alterazioni cutanee fino ad arrivare a disturbi organici generali anche di una certa importanza. Le tigne sono certamente i funghi più conosciuti, ma altri, come Malassezia o Candida sono stati sottovalutati per anni e solo ora se ne riconsidera l'importanza per l'igiene dell'allevamento.
I funghi meno conosciuti sono: la Candida Albicans che è un fungo responsabile di micosi nel cane e nell'uomo. Vive naturalmente sulle mucose dei nostri animali, ma diventa patogeno quando esiste una causa che ne favorisce lo sviluppo incontrollato. I fattori che ne possono determinare la trasformazione in organismo patogeno sono un forte tasso di umidità, un calore eccessivo, trattamenti farmacologici soprattutto a base di antibiotici o di corticosteroidi. Diverse sono anche le forme cliniche che ne possono originare: infiammazioni della cavità orale, otiti, congiuntiviti e lesioni vulvari.
Tutte queste lesioni si caratterizzano per avere in comune il sintomo di intenso prurito. Le zone colpite, inoltre, si presentano di colore biancastro, a volte secche con squame superficiali, altre volte umide. Quando è colpita la cavità orale, la lesione prende il nome di "mughetto" e si osservano macchie biancastre che tappezzano la mucosa orale e la lingua.
Di norma, i trattamenti antimicotici oggi a disposizione sono molto efficaci. Va comunque ricordato che nelle lesioni micotiche non bisogna assolutamente utilizzare pomate a base di cortisone.
Un altro fungo poco conosciuto è la Malassezia, che vive naturalmente sulla pelle dei cani, soprattutto in prossimità dell'ano, estremità degli arti, nel condotto uditivo esterno e nella cavità orale.
Questa affezione cutanea è all'origine di un gran numero di dermatiti a diversa localizzazione, in relazione ai siti colonizzati dal parassita nella fase non patogenetica.
La lesione forse più conosciuta è rappresentata da un'otite esterna bilaterale, maleodorante e con produzione di forti quantità di cerume marrone; alcune razze sembrano essere predisposte: Westie, Basset Hound, Shar-Pei e Barbone. Anche per questo caso, il prurito è intenso, accompagnato da un odore sgradevole che il cane colpito emana. La visita presso un veterinario si rende necessaria e la cura sarà di tipo sistemica oltre che locale.
La tigna, la più temuta si tratta delle forme micotiche più diffuse, sostenute da dermatofiti che si trovano a livello dei tessuti contenenti una sostanza definita cheratina (la pelle, i peli, le unghie). Il rischio di contagio verso l'uomo è altissimo. Le specie di funghi che più comunemente si trovano implicate sono Microsporum e Tricophyton e colpiscono soprattutto i cani in giovane età o gli adulti immunodepressi.
La lesione è abbastanza tipica, a forma rotondeggiante da alcuni millimetri ad alcuni centimetri di diametro, che evolve in modo centrifugo fino, nei casi più gravi, a coinvolgere gran parte della superficie cutanea dell'animale. Le zone colpite si presentano dapprima alopeciche (scomparsa del pelo), per poi trasformarsi in crostose ed eventualmente essudatizie (produzione di essudato untuoso).
La diagnosi si basa sia sulle caratteristiche delle lesioni sia su metodi diagnostici ambulatoriali, come l'osservazione delle lesioni alla lampada di Wood o la coltura delle ife del fungo in particolari terreni.
Le tigne sono comunque malattie che guariscono spontaneamente negli individui sani, anche se è importante trattare gli animali colpiti. Tale trattamento limita il contagio ad altri animali, la contaminazione ambientale e permette una rapida guarigione.
Misure igieniche e precauzioni importanti
Trattandosi di patologie caratterizzate da un'alta trasmissibilità all'uomo e agli altri animali dell'allevamento, è imperativo mettere in atto una serie di misure volte a prevenire e controllare il loro ingresso o, se è il caso, la loro diffusione ad altri soggetti.
Nei cani a pelo lungo, per esempio, si rende necessaria la tosatura quando le lesioni sono particolarmente estese. Il trattamento antimicotico locale dovrà essere effettuato non solo sul soggetto colpito ma anche su tutti gli animali che hanno avuto con questo un contatto recente (vicini di gabbia, trasporto in comune, ecc.).
Per quanta riguarda i prodotti, di norma si tratta di sostanze che vengono applicate sottoforma di lavaggi o spugnature per i trattamenti locali, mentre la somministrazione orale (pastiglie, compresse, ecc.) ? quella preferita per i trattamenti sistemici, quelli cioè che devono aggredire l'agente eziologico tramite la circolazione sanguigna. Questa terapia per via generale è di solito di lunga durata (almeno sei settimane) in quanto il prodotto attivo deve arrivare fino a livello cutaneo e pilifero per svolgere la sua azione.
Va ricordato che la somministrazione di questi prodotti per via orale può essere rischiosa per le femmine in gestazione e negli animali fortemente immunodepressi.
Per quanto riguarda invece la disinfezione dei locali, poichè le spore possono sopravvivere a lungo nell'ambiente, è bene pulire con un aspirapolvere i locali dove soggiornano gli animali e bruciare i sacchetti per impedire qualsiasi tipo di contaminazione. Successivamente, si dovrà disinfettare con candeggina i pavimenti e le pareti dei box e di tutte le zone frequentate dagli animali.
Bisogna comunque ricordare che i cani in buona salute e che vivono in condizioni igieniche buone raramente contraggono forme micotiche; sono i giovani soggetti e quelli immunodepressi i più a rischio per tali forme patologiche. Ecco perchè è importante rispettare le regole igieniche di base, soprattutto per evitare le contaminazioni tra madre e cuccioli, che costituiscono gli anelli più deboli dell'allevamento.
Spazzolare spesso i propri cani è un buon sistema per individuare precocemente eventuali problemi cutanei che affliggono gli animali. Questa pratica dovrebbe rientrare quale metodo di profilassi per molte malattie cutanee, tra cui le micosi, in particolare per il loro alto grado di pericolosità legato alla facile trasmissibilità della malattia agli altri cani e all'uomo.
Il cane presenta due tipi di dentatura: la prima destinata a cadere è detta da latte (o decidua), la seconda definitiva (o permanente) e sostituisce la precedente tra il quinto e il sesto mese di vita dell'animale. Il numero dei denti da latte è di trentadue, mentre quello definitivo del cane adulto è di quarantadue (venti nell'arcata superiore e ventidue in quella inferiore).
I denti sono organi duri deputati alla prensione ed alla masticazione degli alimenti. Nei cani la dentizione è di tipo eterodonte, cioè si osservano denti con forma diversa con funzioni diverse. Ciascun dente è contenuto in un alveolo alle cui pareti è strettamente articolato per sindesmosi (gonfosi). Nel dente si individuano una parte che sporge nella cavità orale (la corona) ed una compresa nell'alveolo (la radice), le due porzioni sono collegate da un colletto. All'interno del dente vi è una cavità detta cavità della polpa nella quale si trova un tessuto connettivale molle: la polpa dentaria con vasi e nervi.
I denti sono formati per gran parte da dentina su cui è applicato, a livello della corona, uno strato di smalto. Sulla radice può trovarsi una lamina di cemento che in alcuni denti si spinge fino a ricoprire la corona.
La formula dentaria indica i denti presenti in ciascuna emiarcata: i tipi morfologici sono indicati come incisivi, canini, premolari, molari. L'eruzione dei denti decidui inizia intorno al ventesimo/venticinquesimo giorno di età e si completa intorno al trentacinquesimo. I primi a comparire sono gli incisivi centrali, gli intermedi ed i canini, seguiti poi dagli incisivi laterali e successivamente dai premolari. All'età di due mesi circa gli incisivi iniziano a cadere mentre spuntano quelli definitivi. A quattro mesi i canini definitivi sono presenti sopra e sotto ed a sei mesi la bocca è completa.
LE MALAOCCLUSIONI
Le malaocclusioni derivano dell'errata chiusura delle arcate dentarie. Vengono anche detti difetti di chiusura. La chiusura corretta di un brachicefalo è chiamata a forbice (come recita lo standard di razza), cioè, gli incisivi superiori si accavallano a quelli inferiori. Se così non fosse, si dovrebbe parlare di chiusura incrociata, a tenaglia, prognatismo ed enognatismo.
Ortognatismo o chiusura a forbice: Volendo dare una definizione agevole di ortognatismo, possiamo dire che si ha ortognatismo quando le mascelle del cane risultano di uguale lunghezza. Spesso si usa anche dire che la mascella (superiore) è di uguale lunghezza rispetto alla mandibola (mascella inferiore). Questa uguaglianza si intende principalmente in due modi: l'arcata superiore deve presentare i denti incisivi che coprano, toccandola con la loro faccia interna, la faccia esterna degli incisivi della mandibola. Perciò gli incisivi delle due arcate debbono essere impiantati in modo da formare una forbice e cioè la direzione degli incisivi superiori si protrae più avanti di quelli inferiori mentre le due mascelle restano di uguale lunghezza; gli incisivi superiori poggiano col loro fior di giglio sul fior di giglio degli incisivi inferiori: in tal caso è fuori di dubbio che le due arcate sono perfettamente uguali in lunghezza.
A questo punto è opportuno precisare che si può avere ortognatismo anche nel caso di una chiusura dentale cosiddetta a forbisce rovescia, vale a dire nel caso in cui la faccia esterna degli incisivi superiori tocchi la faccia interna degli incisivi inferiori. Il fatto che la chiusura sia a forbisce rovescia potrebbe essere un fatto accidentale che non inficia la uguale lunghezza delle mascelle. Bisogna però prestare molta attenzione a questo particolare tipo di chiusura in quanto a volte può essere l'anticamera del prognatismo essendo appunto dovuta a conformazione difettosa delle mascelle. Se la presa è la caratteristica qualificante della razza da caccia, ne consegue che l'apparato mascellare deve essere meccanicamente perfetto, il che vuol dire ortognato, cioè che le mascelle superiore e inferiore siano della stessa lunghezza e che la dentatura superiore combaci correttamente con quella inferiore. L'ortognatismo è anche la condizione dettata dalla Natura.
Chiusura a tenaglia: Chiusura richiesta in alcune razze, specie nei molossoidi ed accettata in altre in alternativa alla forbice. Gli incisivi delle due arcata dentarie chiudono fra loro direttamente sulla superficie di taglio del dente. La chiusura a tenaglia è una chiusura ove gli incisivi, a causa della loro contrapposizione, si usurano velocemente. Inoltre, mancando della funzione di guida, con il tempo spesso evolve in una chiusura a forbice rovesciata.
Il prognatismo se non richiesto espressamente dallo standard di razza, è quasi sempre un difetto ed è caratterizzata dagli incisivi dell'arcata inferiore ( mandibola) che sono prominenti (più avanti) rispetto a quelli dell'arcata superiore (mandibola).
L'enognatismo: E' l'opposto del prognatismo: la mascella è più lunga della mandibola. Gli incisivi inferiori risultano arretrati rispetto ai superiori. Nei casi di enognatismo pronunciato anche i canini inferiori risultano arretrati rispetto ai superiori e possono (ma non è detto) danneggiare il palato.
Chiusura a forbice rovesciata o retroversione degli incisivi: Il margine anteriore della parte libera degli incisivi superiori tocca il margine posteriore della parte libera degli incisivi inferiori. In quest'ultima condizione è ancora ammesso un lieve prognatismo, dove cioè alcuni incisivi delle arcate opposte non sono a stretto contatto fra loro ma in ogni caso non sia deturpato l'aspetto esterno del profilo anteriore del muso. La chiusura a forbisce rovesciata, sia detto per inciso, non è necessariamente riconducibile al prognatismo (né può al limite esserne l'anticamera), perché è principalmente dovuta ad una deviazione degli incisivi dell'arcata inferiore.
Lo sviluppo della piometra vera e propria è preceduto, a livello della mucosa uterina, da fenomeni di iperplasia endometriale cistica in quanto il tessuto prima iperplastico (cioè aumentato di volume per eccessiva stimolazione) va incontro a degenerazione cistica. Si tratta di una patologia che colpisce prevalentemente femmine anziane dagli 8 ai 10 anni (ma non solo!) ed è tipica della fase diestrale (45-60 giorni dopo l'inizio del calore) per la presenza di batteri che lavorano su un utero già molto stimolato dall'azione del Progesterone, nel corso di più cicli estrali ("calori") in successione.
In questa fase è abbastanza facile che i batteri presenti a livello vaginale (prevalentemente Escherichia Coli ) raggiungano l'utero in fase proestrale-estrale attraverso la cervice dilatata e proliferino in maniera smisurata, determinando l'esplosione della patologia vera e propria.
Gli Estrogeni non sono direttamente coinvolti nella patologia ma esaltano l'azione del Progesterone: la loro somministrazione in fase estrale e/o diestrale (ad esempio per l'interruzione di gravidanza indesiderata) aumenta notevolmente il rischio d'insorgenza e questo giustifica il fatto che anche soggetti molto giovani possano presentare tale patologia. Talvolta tale iperplasia comporta accumulo di liquido e la patologia è definita idrometra o mucometra secondo la densità del materiale presente.
Il sintomo classico, riferito dal proprietario, è dato dalla fuoriuscita di materiale purulento dalla vagina se si tratta di piometra a cervice aperta; se si tratta invece di piometra a cervice chiusa la diagnosi è sicuramente meno immediata in quanto mancano perdite evidenti ed i sintomi, ad
un occhio inesperto, possono sembrare molto generici: la cagna può presentare poliuria (urina frequentemente), polidipsia (beve frequentemente), anoressia (non mangia volentieri), spossatezza, ottundimento del sensorio, vomito, diarrea, addome dilatato se
la raccolta è imponente e talvolta, ma non sempre, febbre.
Si è ipotizzato che con tale patologia, associata ad endotossine da Escherichia Coli, ci possa essere insensibilità reversibile del tubulo renale all'azione dell'ADH (ormone deputato a produrre con incapacità di concentrare le urine; in conseguenza a ciò sono prodotte urine estremamente diluite con perdita di fluidi.
La diagnosi deve comunque essere fatta mediante indagine ecografica per cui si nota l'utero, che normalmente non viene visualizzato in quanto anecogeno, come un'immagine scura (iperecogena) a ridosso della vescica. Anche banali esami di laboratorio possono avvalorare il sospetto: si trova una iperleucocitosi, cioè aumento dei globuli bianchi in specifico aumento dei neutrofili, aumento dell'azotemia in caso di disidratazione mentre gli enzimi epatici (GOT-GPT-SAP) possono essere elevati in caso di danni epatocellulari.
TERAPIA
Dopo la valutazione degli esami di laboratorio è sicuramente necessario iniziare terapia antibiotica e fluida nell'attesa di stabilizzare il paziente per procedere poi alla risoluzione del problema. Tra le varie possibilità ricordiamo quella chirurgica consistente nell'asportazione di utero ed
ovaie (ovaioisterectomia), oppure quella medica che consiste nella somministrazione di prostaglandine ed antiprolattinici allo scopo di indurre una lisi del corpo luteo, aumentando la contrattilità della componente muscolare dell'utero nella speranza di riuscire a svuotarlo completamente dal materiale purulento. Normalmente l'applicazione di tale protocollo, porta alla risoluzione del problema, ma molti sono le condizioni concomitanti: il cane deve essere giovane, in buona salute, non cardiopatico e soprattutto di mole non imponente (.....) poiché la dose terapeutica delle prostaglandine è molto vicina alla dose letale e comunque gli effetti collaterali sono vomito, diarrea, tachicardia (aumento della frequenza cardiaca), tachipnea (aumento della frequenza respiratoria).
Per una corretta valutazione dei sintomi è necessario effettuare una conta dei globuli bianchi dopo tre settimane dal calore, sia stata la femmina accoppiata o meno.
Le patologie dell'occhio sono numerose e risulta impossibile affrontarle tutte in poche righe. Esse comunque possono interessare parti esterne e facilmente visibili dell'occhio, come le palpebre, la congiuntiva, la terza palpebra, la cornea o parti più profonde come le camere anteriore e posteriore, il cristallino. I sintomi delle malattie oculari sono alquanto variabili, dipendendo dal tipo di patologia, e possono essere rappresentati da epifora (lacrimazione eccessiva), ammiccamento frequente, essudato (materiale patologico) catarrale o purulento raccolto a livello congiuntivale, ecc. oppure, senza sintomi esterni di patologia, semplicemente da una riduzione della capacità visiva, denotata dalla difficoltà che i soggetti trovano nel superare o aggirare ostacoli. In ogni dubbio o sospetto di patologie oculari si dovrà tempestivamente ricorrere al veterinario che predisporrà gli esami e le cure del caso. Va infatti ricordato che la mancanza di tempestività, in un organo delicato come l'occhio, può compromettere il recupero della funzione o il ripristino dell'integrità anatomica.La conformazione dell'occhio del cane, condiziona la predisposizione ad alcune patologie oculari interessanti le palpebre denominate entropion ed ectropion. L'entropion è una patologia caratterizzata da ripiegamento verso l'occhio della palpebra e delle ciglia corrispondenti. Può interessare sia la palpebra inferiore che quella superiore, in tutta la loro lunghezza o solo in un tratto. In tal modo le ciglia e tutta la rima palpebrale, durante il fisiologico ammiccamento, strisciano sulla cornea irritandola e generando cheratite (infiammazione corneale) che può progredire, aggravandosi, fino a generare ulcere corneali. L'entropion può essere dovuto a diverse cause: può essere ereditario (la forma più frequente nel cane) oppure può essere acquisito (cioè dovuto ad un fatto patologico intercorso durante la vita) e ricondotto a disordini ciliari di vario tipo che provocano dolore corneale e conseguentemente blefarospasmo cronico (spasmo del muscolo orbicolare dell'occhio, e che si apprezza come diminuzione dell'apertura palpebrale).
Sempre riconducibile ad un blefarospasmo cronico è l'entropion conseguente a corpi estranei di lunga persistenza, lesioni corneali e congiuntiviti (infiammazione della congiuntiva). Queste ultime tre evenienze possono essere anche variamente associate poiché una può innescare l'altra. Come già riferito la forma più comune nel cane è quella ereditaria che si verifica con maggiore incidenza in alcune razze. Le forme c.d. ereditarie di entropion vanno sospettate ogni volta che esso si manifesta in soggetti di età inferiore ai 6 mesi in assenza di una causa dolorifica (quelle citate come responsabili dell'entropion acquisito) persistente. L'ectropion consiste nell'eversione (rotazione verso l'esterno) della palpebra con la conseguente esposizione della superficie congiuntivale.
E' una patologia oculare associata prevalentemente alla palpebra inferiore. Come conseguenza del difetto palpebrale la congiuntiva è più esposta agli agenti irritanti ambientali, e ne risulta una congiuntivite cronica. Spesso la congiuntiva troppo esposta appare anche congesta (arrossata, perché iniettata di sangue). Qualora l'eversione interessi anche i punti lacrimali è presente epifora. Anche per l'ectropion si ammettono forme congenite, frequentemente osservate nelle razze a cute facciale lassa e forme acquisite dovute a paralisi della branca del nervo facciale che innerva il muscolo orbicolare dell'occhio (dalla cui funzione dipende il tono delle palpebre e l'avvicinamento delle stesse fino alla chiusura della rima palpebrale) o, evenienza più grave, del nervo facciale in toto, oppure può essere dovuto ad una lesione traumatica della palpebra, con conseguente cicatrizzazione deformante che retrae la palpebra verso il basso, o, talvolta, ad una errata correzione dell'entropion. Va inoltre ricordato che l'ectropion può anche essere senile, in relazione ad una diminuzione di tono del muscolo orbicolare delle palpebre.
Nei soggetti di alcune razze, tali patologie, nelle rispettive forme congenite, oltre ad essere presenti singolarmente appaiono anche associate. E' infatti nota la condizione, nella palpebra inferiore, di entropion nell'angolo esterno dell'occhio e ectropion al centro della palpebra. Tale condizione viene messa in relazione a debolezza intrinseca delle strutture palpebrali, soprattutto nell'angolo laterale. La debolezza dell'angolo laterale dell'occhio è a sua volta amplificata da cute facciale eccessiva, pesante o troppo cadente. La correzione dei difetti è chirurgica e consiste, nell'entropion, nell'asportazione di un lembo cutaneo ellittico di cute, per fare ruotare verso l'esterno il margine palpebrale, mentre nell'asportazione di un triangolo di palpebra con la base lungo il margine palpebrale, per ridurre l'eversione della palpebra inferiore in caso di ectropion. Esistono poi diverse varianti, soprattutto nell'intervento per l'entropion, a seconda che il difetto interessi tutta la lunghezza della palpebra o solo un tratto, condizione che, come già detto, è più frequente in alcune razze piuttosto che in altre.
CARATTERISTICHE DEL VIRUS
Si tratta di un virus specie-specifico, ovvero ciascuna specie animale possiede un proprio virus, pur appartenente alla stessa famiglia, ne deriva che il virus del cane può essere trasmesso solo tra cani e non all' uomo o ad altri animali. Come tutti gli Herpes Virus è protetto da envelope, (involucro esterno) costituita da lipidi e glicoproteine, sensibili ai più comuni agenti esterni e chimici, e disattivato alla temperatura di 37 °C o più, estremamente sensibile ai solventi quali etere, cloroformio sali quaternari d' ammonio, derivati fenolici, quindi in definitiva poco resistente nel mondo esterno!
Al 1965 risalgono i primi dati riguardo all' Herpes Virus Canino come causa di patologia virale fatale nei neonati. Nei neonati deceduti sono caratteristiche le lesioni focali di tipo necrotico generalizzate ed emorragiche, la patologia nell' adulto è subdola o modesta limitatamente alle prime vie respiratorie e/o genitali esterni. La diffusione avviene per lo più attraverso leccamento (saliva e mucosa nasale) o per via inalatoria, questo a causa della scarsa resistenza del Virus nel mondo esterno e alla sua disattivazione a temperatura superiore ai 37 °C, quindi la normale temperatura corporea di 38 – 38,5 °C non gli permette di sopravvivere e di replicare. Altra via di trasmissione è attraverso l' accoppiamento, per contatto diretto della mucosa genitale dove si localizza il virus. La localizzazione del virus a livello di mucosa genitale e/o nasale è un sistema di sopravvivenza del virus per sottrarsi alla temperatura corporea elevata che lo disattiverebbe. Caratteristica saliente del Virus è che, dopo la fase acuta dell' infezione, viene raggiunta una fase di equilibrio tra la presenza del virus, in forma latente, e il sistema immunitario. Durante questa fase il cane positivo all' infezione erpetica non è da ritenersi contagioso, la riattivazione virale può però avvenire in qualsiasi momento che determini una depressione del sistema immunitario, quali eventi stressanti, concomitanti patologie, o banalmente la fase di calore e il parto nella cagna.
SINTOMATOLOGIA
La conseguenza più nota e temuta è l' infertilità sia nel maschio che nella femmina spesso non associata ad alcuna altra sintomatologia se non rinite transitoria e piccole lesioni vescicolari sulle giunzioni muco-cutanee dei genitali esterni. Compatibile con qualità del seme normale e con cicli normali e regolari nella femmina. Estrema contagiosità attraverso, banalmente, l' annusamento e leccamento dei genitali di un soggetto con infezione in fase attiva.
INFEZIONE ERPETICA NELLA CAGNA
Al momento del contagio, che spesso avviene per via venerea o nel caso di riattivazione durante la fase di calore, gli eventi che possono verificarsi sono:
– assenza di gravidanza
– interruzione di gravidanza con riassorbimento o aborto
– parto a termine ma con perdita della cucciolata del 100 % o quasi, nei primi 7-15 giorni post-partum
– fertilità mantenuta in funzione degli anticorpi elaborati dalla cagna
L' interruzione di gravidanza è dovuta a diffusione del virus al feto causando morte embrionale (riassorbimento) o fetale (aborto) oppure mummificazione del feto o ancora parto prematuro. In un lavoro di svariati anni fa, da parte di alcuni ricercatori giapponesi, è stata studiata una infezione sperimentale transplacentare e da 7 cagne gravide infettate con CHV, tra i 47 e i 53 giorni di gestazione, sono nati 33 cuccioli di cui 28 risultati infetti (84,9 %). Dei 33 cuccioli partoriti 2 sono nati morti, 26 nati vivi ma deceduti nei primi 15 giorni di vita e 5 nati vivi e rimasti "sani" per tutto il periodo di osservazione. Il virus è stato isolato su diversi tessuti fetali quali: fegato, milza, reni e polmoni in più 14 su 33 placente presentavano lesioni necrotiche tipiche dell' Herpes Virus. Un altro studio più recente riporta che cagne infettate sperimentalmente a 30 giorni di gestazione hanno avuto aborti a partire dai 45 ai 51 giorni di gravidanza così come nascita con cesareo di feti morti, mummificati e cuccioli vivi ma deceduti in età neonatale. L' infezione sperimentale di due cagne a 40 giorni di gestazione ha dato luogo, invece, a parti prematuri con 10 cuccioli partoriti rispettivamente 5 e 7 giorni prima della scadenza. Il virus anche in questo caso è stato isolato dagli organi fetali prematuri quali: fegato, milza, reni e polmoni.
INFEZIONE ERPETICA NEL MASCHIO
Il sospetto di un' infezione erpetica nel cane maschio nasce da una anamnesi di femmine con lui accoppiate e rimaste vuote o con percentuale di riassorbimenti/aborti o nati-mortalità o mortalità in età neonatale Molto spesso l' infezione erpetica non è associata ad alcun disturbo oppure possono essere presenti lesioni vescicolari localizzate a livello della giunzione muco-cutanea del prepuzio o della punta del pene. Per esperienza personale possono essere presenti anche concomitanti infezioni batteriche del tratto genitale che possono interferire negativamente con la qualità del seme.
Di solito nel maschio infetto la libido è mantenuta e possono essere presenti anche delle balanopostiti ovvero infezioni del glande con ecchimosi e lesioni vescicolari.
INFEZIONE ERPETICA NEL NEONATO
La forma neonatale di herpes virosi si verifica per lo più durante le prime tre settimane di vita ed è caratterizzata da depressione, minor capacità di suzione, lamenti persistenti, diarrea, rinite, dolore addominale, incoordinazione e decesso in 24 – 48 ore dall' inizio della sintomatologia. Dal punto di vista delle lesioni causate dal Virus sono caratteristiche delle emorragie ed ecchimosi multifocali e disseminate a livello di rene, fegato e polmoni, riscontrabili all' esame autoptico dei cuccioli deceduti per l' azione del Virus. I cuccioli durante le prime tre settimane di vita sono particolarmente vulnerabili all' azione del Virus in quanto non hanno alcuna possibilità di mantenere la loro temperatura corporea intorno ai 38 °C, ma assumono la temperatura corporea a seconda delle condizioni ambientali ovvero: temperatura della sala parto, numero di cuccioli presenti e istinto materno nel cercare di tenere al caldo i neonati. In condizioni non idonee per mantenere i cuccioli adeguatamente al caldo il Virus si replica ed eserciterà la sua azionepatogena. E' segnalata la possibilità che cuccioli che sopravvivano alla forma neonatale erpetica possano essere interessati da danni permanenti neurologici, renali e/o del tessuto linfatico (incidenza non conosciuta).
EPIDEMIOLOGIA
Uno studio epidemiologico francese riporta che il 75-80% degli allevamenti risulta infetto anche se non sono stati registrati problemi di infertilità o mortalità neonatale al momento della diagnosi. Per quanto riguarda l' Italia non esistono ancora dati ufficiali ma, dalla mia esperienza nell'
effettuare controlli sia su cani infertili sia su cani fertili, ritengo che la situazione sia assolutamente raffrontabile. Altro dato importante è che il 100% degli allevamenti con problemi di fertilità risulta infetto, questo non vuol dire obbligatoriamente che l' Herpes sia l' unico responsabile ma possono essere presenti anche altre cause o con-cause che giustifichino l'infertilità.
DIAGNOSI
Esistono diverse possibilità diagnostiche che possono essere distinte in due gruppi: su sangue e su tessuti considerati infetti. I test diagnostici su sangue sono essenzialmente due : la SIERONEUTRALIZZAZIONE e la tecnica ELISA,il primo di gran lunga più attendibile. La Sieroneutralizzazione avviene grazie all' isolamento del virus canino, con cui si cimenterà il siero del cane da testare. Il test viene eseguito su un sub-strato cellulare dove viene messo il siero del cane da testare, a questo punto, aggiunto il virus canino, se saranno presenti gli anticorpi contro il virus stesso, non si espleterà l' effetto citopatico (distruzione delle cellule) tipico del virus, se invece il cane testato non avrà gli anticorpi verso il virus, le cellule verranno aggredite dal virus. La presenza degli anticorpi verso il virus è un dato certo per poter asserire che il cane è venuto a contatto con il virus, quindi è da considerarsi positivo. Tanto più alto sarà il titolo anticorpale e tanto più è attiva l' infezione, non sarà però possibile distinguere tra una infezione acuta (virus che ha fatto ingresso nell' organismo recentemente) o una riacutizzazione di un' infezione virale pregressa. Altra tecnica diagnostica estremamente valida è la PCR, da effettuarsi sui tessuti ritenuti potenzialmente infetti, sia che siano lesioni vescicolari a carico dei genitali sia che siano feti o annessi fetali. La tecnica è certa in quanto consiste nell' isolamento al microscopio elettronico delle particelle virali; agli istituti zooprofilattici che effettuano questo tipo di esame dovranno essere mandati i tessuti da esaminare oppure se l' esame deve essere fatto su lesioni di un paziente in vita, dovranno essere spediti all' istituto dei tamponi con il materiale da esaminare, con dei terreni di trasporto per la virologia, materiale non routinario che dovrà essere richiesto al laboratorio che effettuerà il test.
PREVENZIONE
L' isolamento della cagna gravida durante il periodo di maggior vulnerabilità, compreso tra le 3 settimane prima e le 3 settimane dopo il parto, è l'unica manovra che può cercare di proteggerla da una infezione o da una riattivazione di una forma pregressa e latente. Altro comportamento corretto, ai fini di evitare i danni da herpes sulla vita riproduttiva delle fattrici, è mettere a contatto i cuccioli e cuccioloni ben presto con gli adulti, già riscontrati positivi alla sieroneutralizzazione. Molto probabilmente i cuccioli saranno già nati positivi ma in ogni caso crescere a contatto con il virus servirà per raggiungere una condizione di equilibrio tra presenza del virus e stato di latenza. La scrupolosa cura delle condizioni ambientali della sala parto è un' altra delle misure precauzionali importanti, il virus viene disattivato ad una temperatura maggiore di 37 °C, i cuccioli nascono senza possibilità di termoregolarsi quindi la temperatura della sala parto sarà da tenersi tra i 28 e i 30 °C durante la prima settimana dal parto, per poi scendere a 24-26 °C durante la seconda settimana e intorno ai 21 °C durante la terza settimana. Il tasso di umidità dovrà essere tra i 55 e 60 %, in questo modo la temperatura corporea dei cuccioli sarà la più corretta possibile.
TRATTAMENTI TERAPEUTICI
Non esistono farmaci specifici, sono stati testati anche "in campo" i vari farmaci anti-virali senza aver mai avuto alcuna riposta. E' stata proposta e provata la somministrazione sottocutanea e/o intra-peritoneale di siero prelevato da cani adulti precentemente esposti al Virus, con la speranza di poter fornire anticorpi atti a combattere l' infezione erpetica. Altra via percorsa è stata quella dell' utilizzo di farmaci che stimolassero l' immunità dei cuccioli e delle cagne gravide appartenenti a varie categorie. Tutti questi tentativi negli anni non hanno dato alcun risultato positivo.
TRATTAMENTO IMMUNITARIO
La caratteristica saliente dell' Herpes Virus è di essere scarsamente immunogeno, ovvero il virus induce una transitoria risposta immunitaria di tipo umorale con anticorpi sierici che perdurano attivi per poco tempo (4-8 settimane). Esiste un trattamento immunizzante per la cagna gravida che
ha l' unico scopo di proteggere i nascituri dalla forma erpetica più comune e che determina la maggior perdita di cuccioli. Tale trattamento è molto diverso dagli altri vaccini per le forme virali del cane, in quanto le caratteristiche delle Herpes Virus Canino, come detto precedentemente, sono molto diverse rispetto agli altri Virus Canini. Sono necessari due trattamenti da farsi da quando la cagna entra in calore a entro 15 giorni dall'accoppiamento e il secondo trattamento (richiamo) da 1 a 2 settimane prima rispetto al data del parto. Questo schema immunizzante ha lo specifico scopo di fare in maniera tale che con il colostro (prima secrezione lattea) vengano passati al feto un' adeguato numero di anticorpi per poter combattere l'infezione erpetica. I cuccioli nati da madre positiva saranno comunque infetti ma non si ammaleranno grazie agli anticorpi materni. Il vaccino presente in commercio (Eurican Herpes 205 della Merial) è da ritenersi, congiuntamente all' osservanza delle cure ambientali della sala parto, l' unica arma per combattere l' Herpes Virus Canino. Tale trattamento immunizzante dovrà essere ripetuto ad ogni gravidanza, in quanto gli anticorpi prodotti in risposta al vaccino, avranno una concentrazione adeguata solo per poche settimane, e questa è anche la ragione per cui nel maschio non è possibile effettuare la vaccinazione.
CONCLUSIONI
L' Herpes Virus non è da considerarsi l' unica causa di infertilità nella cagna e quindi sarà ndispensabile indagare su tutte le probabili cause di mancato concepimento o di mortalità neo-natale nel cane onde evitare che si creino delle false aspettative circa il trattamento immunizzante anche per quelle cause dove l' Herpes Virus non è la relae causa o non è l' unica. Ritengo che la vaccinazione sia un ‘ottimo strumento per proteggere le nostre fattrici da riattivazioni di forme virali erpetiche latenti o di prime infezioni, nei poche sai in cui l' Herpes non sia ancora presente prima dell' inizio dell' attività riproduttiva. La vaccinazione durante la gravidanza ritengo sia consigliabile sia per quelle cagne che sono già risultate infette, o appartenenti ad un allevamento dove il Virus ha fatto ingresso, sia per quelle cagne che non sono affette, onde evitare che durante la gravidanza possano infettarsi oppure avere una riattivazione della forma virale, latente fino a quel momento.
La patologia è nota da tempo ed evolve in vari gradi di gravità, normalmente la malattia inizia come sacculite anale, evolve in ascesso e poi termina con la fistolizzazione, si instaura un processo infiammatorio cronico a carico di cute e tessuti sottocutanei; un'analoga forma è descritta anche in medicina umana, in associazione a patologie intestinali croniche come il Morbo di Crohn. Anche in medicina veterinaria a volte il problema è clinicamente associato a coliti o altre patologie intestinali croniche: in questi casi nell'iter diagnostico troveranno posto anche la retto-colonscopia con il prelievo di biopsie per meglio identificare l'esatta natura della condizione.
La relazione ha poi preso in esame una rassegna delle teorie eziopatogenetiche, abbinando a ciascuna la terapia proposta. La prima citata è la cosiddetta "ipotesi anatomica", secondo la quale la causa sarebbe da ricercare nella conformazione degli animali colpiti, con attaccatura della coda particolarmente bassa; il trattamento consigliato è l'intervento di caudotomia, utilizzato in modo abbastanza diffuso, con risultati spesso non soddisfacenti, anche dopo chirurgie tecnicamente ineccepibili.
In seguito, sulla scia di quanto osservato in medicina umana, si è enfatizzata l'associazione tra fistole perianali e colite cronica; molti animali sono stati quindi trattati con una dieta ad elevato contenuto di fibra e corticosteroidi, con risultati incoraggianti nei due terzi dei casi. Resta peraltro da chiarire come mai, anche nei soggetti in cui la terapia consentiva il raggiungimento della guarigione clinica, non si potesse osservare la normalizzazione del quadro istologico intestinale.
Esiste poi l'ipotesi "istologica" che parte dall'osservazione che le lesioni riscontrabili in corso di fistole perianali sono molto simili a quelle della piodermite profonda. La cute presenta un'elevata densità di ghiandole sudoripare apocrine e di follicoli piliferi. La terapia si avvale quindi dei protocolli utilizzati per le piodermiti profonde.
Attualmente l'ipotesi che riscuote il maggior consenso è quella immunomediata: le fistole perianali sono considerate l'espressione clinica di una malattia sistemica; l'ipotesi immunomediata è confortata da considerazioni cliniche ed istopatologiche, nonché dai risultati della terapia immunomodulatrice: la ciclosporina, il farmaco più impiegato, ha infatti un meccanismo d'azione che consiste nell'inibizione della maggior parte delle funzioni dei linfociti T helper.
Attualmente, dal punto di vista terapeutico sono disponibili diverse opzioni. Nelle forme iniziali possono trovare spazio trattamenti a base di antibiotici, FANS e disinfettanti. Interessante l'azione del Tacrolimus utilizzato topicamente: l'impiego di questo macrolide lattone è mutuato dalla pediatria umana (trattamento della dermatite atopica nei bambini); nel cane, uno studio del 2000 riporta la guarigione del 50% dei soggetti trattati, utilizzando il prodotto 2 volte al dì per 16 settimane.
Negli animali in cui le fistole sono associate a disturbi intestinali cronici si può proporre una dieta ad elevato contenuto di fibra in associazione ad una terapia a base di prednisone a dosaggio immunosoppressivo od anche una terapia che utilizzi in associazione prednisone e sulfasalazina o ancora un'associazione di azatioprina e metronidazolo.
Dal 1996 il farmaco più studiato ed utilizzato è la ciclosporina, anche qui dopo il suo impiego in medicina umana in pazienti affetti da Morbo di Crohn; esistono numerosi studi clinici in cui la molecola è stata usata con protocolli e dosaggi diversi (in media: 5,5 mg/kg/bid per 2–5 mesi).
Il dosaggio consigliato è di 5 mg/kg/bid: la farmacocinetica consentirebbe una singola somministrazione giornaliera (10 mg/kg) che però è associata ad una maggior incidenza di effetti indesiderati a carico dell'apparato digerente (vomito, in particolare).
Uno studio del 2005 ha preso in considerazione 26 cani trattati con ciclosporina alla dose di 4 mg/kg/bid per 8 settimane; i risultati: in 18 soggetti completa guarigione, in 7 miglioramento con minime lesioni residue, in 1 cane non si è avuto nessun miglioramento. In 15 animali si sono verificati moderati effetti collaterali a carico dell'apparato digerente; in 9 cani, infine, si è verificata una recidiva. Un altro studio riporta più elevate percentuali di guarigione e minor frequenza di recidiva se la terapia viene protratta per 16 settimane.
La terapia chirurgica è meno praticata che in passato ed attualmente riservata ai casi che non rispondono alla terapia medica od in cui quest'ultima porti a riduzione delle fistole senza arrivare alla guarigione completa. Uno studio del Prof. Mortellaro (Università di Milano) mette a confronto i risultati della terapia chirurgica e di quella medica in 67 cani affetti da fistole perianali: dei soggetti sottoposti a chirurgia circa un terzo andò incontro a guarigione, mentre tutti gli animali trattati farmacologicamente presentarono riduzione di estensione, profondità e numero delle fistole.
Si può quindi concludere che attualmente la patologia risulta meglio compresa e controllabile rispetto al passato, senza peraltro poter affermare di averla "risolta"; resta un problema cronico, e, pur avendo a disposizione diversi trattamenti sicuramente validi, in certi animali è ancora necessario ricorrere alla chirurgia (lesioni residue post terapia medica), in altri soggetti può essere necessario programmare una terapia a vita (lesioni ricorrenti) ed infine è sempre possibile la temuta evoluzione in megacolon, incontinenza fecale o stenosi rettale.
Da dati statunitensi, la prevalenza della patologia renale negli animali d'affezione è risultata essere tra 0,5 e il 2% nella specie felina e di circa l'1% nel cane. Questa stima potrebbe non essere utile in una situazione quale quella italiana o degli altri paesi del bacino del Mediterraneo vista la più alta incidenza di nefropatie coinvolgenti il reparto glomerulare come conseguenza della deposizione di immunocomplessi circolanti che originano da infezioni ed infestazioni (Leishmaniosi, Ehrlichiosi, Rickettsiosi, Piroplasmosi, ecc.) ben rappresentate nella nostra area geografica.I pazienti nefropatici proteinurici possono essere suddivisi in:
La sintomatologia dominante, e pertanto gli elementi da considerare nella gestione dei pazienti nefropatici proteinurici, è rappresentata da ipertensione, iperfosfatemia, ipoalbuminemia, ipercolesterolemia, proteinuria di grado variabile, ipercoagulabilità, anemia e cachessia.
Iperfosfatemia: la ritenzione del fosfato e l'iperfosfatemia compaiono precocemente in caso di nefropatia e hanno un ruolo primario nella genesi e nella progressione di condizioni come iperparatiroidismo secondario renale, osteodistrofia renale, carenza relativa o assoluta di 1,25- diidrossivitamina D e calcificazione dei tessuti molli. Nel controllo dell'iperfosfatemia si può intervenire, dal punto di vista nutrizionale, utilizzando diete a basso tenore in fosforo e, nel caso in cui la sola restrizione dietetica non fosse sufficiente, aggiungendo alla razione dei chelanti del fosforo (es. idrossido di alluminio alla dose di 30-90 mg/kg/die).
È importante ricordare che l'utilizzo dei chelanti è inefficace se non sono abbinati a diete a ridotto tenore di fosforo. La restrizione del fosforo è stata descritta come uno degli interventi nutrizionali in grado di aumentare l'aspettativa di vita dei pazienti nefropatici (Finco, 1992; Eliott, 2000).
Proteinuria ed ipoalbuminemia: sono, probabilmente, gli aspetti che richiedono una più attenta gestione nutrizionale. Da un lato il paziente neuropatico proteinurico va incontro ad un'ipoalbuminemia per perdita delle proteine attraverso il filtro renale, dall'altro le proteine perse devono essere cautamente integrate per non andare a dare un sovraccarico renale. In pratica, questo aspetto può essere affrontato somministrando delle razioni con un tenore proteico controllato ma con proteine di elevato valore biologico in modo da fornire gli aminoacidi essenziali con il minor sovraccarico renale possibile. Sotto questo aspetto potrebbe anche essere utile somministrare una dieta caratterizzata da un basso tenore proteico (che consentirà di evitare l'iperfiltrazione proteica) integrata con aminoacidi essenziali.
L'integrazione con aminoacidi deve essere direttamente proporzionale alle proteine perse attraverso le urine che possono essere calcolate con la formula: mg di proteine persi nelle 24 h con le urine = 20 x PU/CU x Kg peso vivo dove PU/CU è il rapporto proteinuria/creatininuria Altro elemento di azione per la riduzione della proteinuria è costituito dal controllo delle condizioni ipertensive sistemiche e locali. Questo aspetto può essere affrontato da un punto di vista farmacologico ma un ausilio importante nel trattamento dell'ipertensione locale ci viene anche fornito dall'integrazione della razione con acidi grassi della serie omega-3 (soprattutto ac. eicosapentenoico). Uno dei meccanismi di induzione dell'ipertensione glomerulare è dato dall'aumento di produzione di prostaglandina E2 e trombossano A2. L'EPA, interferendo con la produzione dei suddetti eicosanoidi, determina una diminuzione della pressione glomerulare. In particolare si è notato che una dieta con rapporto omega-6:omega-3 pari a 5:1 diminuisce la produzione di eicosanoidi e permette di tenere sotto controllo l'ipertensione glomerulare.
La limitazione dell'apporto di sodio per il controllo dell'ipertensione sistemica negli animali da compagnia nefropatici è tuttora una questione aperta poiché al riguardo esistono dati contrastanti. Diversi Autori suggeriscono di limitare l'apporto di sodio per ridurre l'ipertensione associata all'incapacità dei reni di eliminare questo elemento. Altri Autori affermano che ridurre l'apporto di sodio determina una diminuzione del volume ematico diretto al rene e, pertanto, potrebbe addirittura risultare controindicato.
Recentemente è stato suggerito che somministrare più di 1,5 g di Na/1000 kcal possa promuovere la progressione della nefropatia felina negli stati iniziali (Kirk, 2002). Tuttavia, variare l'apporto di Na da 0,5 a 3,25 g di Na/1000 kcal non ha influenzato lo sviluppo dell'ipertensione, né influito sulla velocità di filtrazione glomerulare nel cane con nefropatia indotta per via chirurgica (Greco et al., 1994). Inoltre, uno studio recente condotto su gatti con patologia renale moderata indotta per via chirurgica, non ha mostrato alcun effetto avverso dopo la somministrazione di 2 g di Na/1000 kcal (Burankarl, 2004). Burankarl e coll. hanno anche suggerito
che la restrizione di Na (0,5 g di Na/1000 kcal) possa attivare le vie neuroumorali che contribuiscono alla progressione della patologia renale ed aggravano la deplezione renale del potassio. Riassumendo, gli apporti alimentari ideali di Na per il cane e il gatto in condizioni di nefropatia non sono ancora state chiaramente definiti. Le attuali raccomandazioni sono di somministrare diete con contenuto normale di sodio. La capacità di regolare l'escrezione di Na in risposta alle variazioni dell'apporto alimentare,diminuisce seriamente con il progredire della patologia. Se l'apporto di sodio scende rapidamente, si possono avere disidratazione e contrazione del volume di fluidi con conseguente aggravamento della situazione renale.
Ipercolesterolemia: nel paziente nefropatico proteinurico possiamo rilevare alterazioni del metabolismo lipidico caratterizzate da alti livelli plasmatici di colesterolo. Alti livelli di lipidi nel sangue stimolano, a livello renale, la proliferazione delle cellule mesangiali all'interno dei glomeruli, da ciò consegue un'eccedente produzione di matrice mesangiale che porta ad una glomerulosclerosi. Attraverso un'integrazione con acidi grassi polinsaturi si può diminuire la colesterolemia e l'effetto patologico del suo eccesso.
Ipercoagulabilità: nella malattia renale interviene, in alcuni casi, una situazione di coagulabilità piastrino-indotta favorita dall'azione del trombossano A2. Lo stato di ipercoagulabilità aumenta il rischio di trombosi soprattutto nei pazienti con bassi livelli di intitrombina III (dovuti ad una perdita di questa proteina attraverso le urine).
Per diminuire la situazione di ipercoagulabilità, oltre all'approccio farmacologico, è di notevole ausilio l'inibizione della produzione di questa molecola attraverso la competizione con il trombossano prodotto dall'EPA, dotato di minor capacità aggregante piastrinica.
Cachessia: la cachessia nel paziente nefropatico proteinurico ha una duplice origine. Da un lato può derivare da un non corretto apporto energetico dovuto alla sottostima dei fabbisogni energetici in una condizione ipermetabolica o alla non sufficiente assunzione dell'alimento dovuta all'inappetenza; dall'altro può essere dovuta ad una perdita della massa magra causata dalla proteinuria. Per quanto riguarda il primo aspetto ricordiamo che l'apporto energetico deve essere personalizzato secondo i fabbisogni del paziente e sulla base delle determinazioni seriali di peso corporeo e BCS (body condition score) ma una buona base di partenza è costituita dal calcolo del fabbisogno energetico con le formule: 132 x PV0,75= fabbisogno energetico giornaliero cane 60 kcal x PV= fabbisogno energetico giornaliero gatto Una fonte di energia molto importante da considerare è rappresentata dai grassi che, fornendo più del doppio delle kcal/g rispetto a carboidrati e proteine, possono aumentare la densità energetica della dieta (kcal/100 g SS) e ciò consente di soddisfare i fabbisogni energetici con una quantità di cibo inferiore. Fattore importante in pazienti inappetenti poiché la minore distensione gastrica diminuisce l'incidenza di nausea e vomito. In alcuni casi, però, onostante
l'apporto energetico sia corretto si può avere una perdita della massa magra attraverso il filtro renale. Questo aspetto può essere contrastato attraverso la somministrazione di EPA che è risultato in grado di ridurre la degradazione proteica a livello dei muscoli scheletrici, grazie all'inibizione della PGE2.
CARATTERISTICHE DI UNA DIETA PER SOGGETTI NEFROPATICI PROTEINURICI
(valori sulla sostanza secca)
Proteine 15-17% per il cane e 28% per il gatto.
Fosforo 0,15-0,30% per il cane e 0,40-0,60% per il gatto.
Densità energetica 400-450 kcal/100 g
Vitamine idrosolubili due-tre volte il fabbisogno minimo
Acidi grassi polinsaturi rapporto (omega 6/omega 3) 5:1
Alcalinità dieta eventuale aggiunta di sostanze alcalinizzanti Nella pratica la gestione nutrizionale del paziente nefropatico proteinurico è un problema di elevata complessità che richiede un "equilibrismo" non indifferente tra i vari elementi da considerare. In prima istanza, l'adozione di una buona dieta commerciale, specifica per questo stato patologico, può essere la soluzione più semplice ed affidabile. Il controllo delle condizioni cliniche del paziente e gli esami di laboratorio permetteranno di stabilire se il trattamento dietetico è risultato efficace. In caso di necessità si potrà intervenire, a seconda dei casi, con l'aggiunta di chelanti
del fosforo, alcalinizzanti, aminoacidi, acidi grassi e vitamine.
"La coda di stallone" è causata da un'infiammazione di un gruppo di ghiandole (epatoidi) che si trovano sulla coda dei cani maschi, generalmente è di forma allungata, senza peli e la pelle è spessa. Si chiama da stallone perchè è solo nei maschi e con la castrazione sparisce (sembra legata ad un eccesso di testosterone)....da ricordarsi anche che la suddetta "patologia" può presentarsi anche se più raramente anche nelle femmine ed è legata alla presenza di alcune ghiandole definite epatoidi localizzate alla base della coda. Tali ghiandole sono ormono sensibili, il testosterone le stimola gli estrogeni le fanno regredire. Nelle femmine tale condizione è molto rara, ed è presente soprattutto nelle femmine sterilizzate che hanno quindi una carenza di estrogeni.
Presentazione clinica
La spondilomielopatia cervicale o Sindrome di Woobler è una patologia neurologica che colpisce soprattutto cani di razza Doberman pinscher e Alano, ma anche altri soggetti appartenenti soprattutto a razze
di media-grossa taglia. L'età di insorgenza varia da 3 mesi a 9 anni (in
giovane età soprattutto nell'Alano e in età adulta nel Doberman) con una frequenza di maggior riscontro in soggetti maschi rispetto alle femmine.
I soggetti affetti da questa patologia presentano un'anamnesi comune di deficit di deambulazione soprattutto degli arti posteriori, deficit variabili nella loro gravità. I proprietari riferiscono un esordio lento ed insidioso di alterata coordinazione degli arti posteriori; spesso non sono in grado di valutare il coinvolgimento anche degli arti anteriori per la prevalenza e gravità dei segni a livello del bipede posteriore che, ad occhi non esperti sembra essere unicamente coinvolto. Viene, inoltre riferita difficoltà ad alzarsi ed accucciarsi. La sintomatologia si può protrarre per settimane o mesi; a volte si assiste ad un'esacerbazione dei segni clinici non associata ad un evento traumatico riconosciuto, ma che sottende alla presenza di protrusione discale. Nella maggior parte dei casi, se non c'è protrusione del disco, il dolore cervicale non è riferito dal proprietario. All'esame obiettivo generale spesso non si nota niente di anomalo.La visita neurologica, se il soggetto è in grado di mantenere la stazione, evidenzia alterazioni della postura caratterizzati da ampia base d'appoggio dei posteriori che spesso assumono posizioni anomale e nei soggetti in cui è presente dolore, postura antalgica di emprostotono che si tradurrà anche in riluttanza a muovere il collo.Sicuramente l'attento esame dell'andatura consente di ottenere maggiori informazioni anche se non esiste una uniformità nella presentazione a causa della diversa gravità delle alterazioni morfo-struttrali che determinano la sintomatologia; i soggetti presentano atassia degli arti posteriori associata ad ipermetria e circonduzione degli arti stessi associata a para/tetraparesi. Duranti i cambi di direzione le alterazioni si palesano maggiormente con tendenza ad incrociare e strisciare gli arti (non è raro osservare anomalo consumo delle unghie) che nei casi più gravi tendono a collassare. A carico degli arti anteriori invece è presente ipometria con esecuzione di passi corti a confermare il coinvolgimento del tratto C6-T2 del midollo spinale. Sono presenti deficit propriocettivi di gravità variabile sui 4 arti: ritardo nel posizionamento propriocettivo è osservabile sui 4 arti (maggiormente presente a carico degli arti posteriori), ma è soprattutto con la carriola e il saltellamento sugli arti anteriori che si evidenziano maggiori deficit anche laddove le alterazioni dell'andatura sembrino interessare solo il bipede posteriore. Durante l'esecuzione della carriola si osserva tendenza a trascinare gli arti ed anche ad incrociare gli stessi; il saltellamento evidenza una capacità ridotta nell'esecuzione del movimento spesso associata anche a mancanza di forza nel sorreggere il peso su un solo arto. Spesso i deficit di andatura e quelli propriocettivi sono presenti solo o, in modo preponderante, a carico, degli arti posteriori. La disparità di alterazioni propriocettive tra arti anteriori e posteriori con maggiore evidenza clinica a carico dei secondi per una lesione del midollo spinale cervico-toracico è spiegabile con le seguenti considerazioni. La maggior parte delle fibre propriocettive che originano dalle articolazioni degli arti posteriori abbandonano il fascicolo gracile, che scorre nel funicolo dorsale
del midollo spinale, a livello dei primi segmenti del midollo spinale lombare per unirsi al fascicolo spinocerebellare dorsale, che scorre nel funicolo laterale del midollo spinale, dopo aver contratto sinapsi con neuroni del corno dorsale a livello di nucleo toracico. Queste fibre terminano ipsilateralmente in un nucleo speciale chiamato nucleo Z, vicino al nucleo gracile a livello di midollo allungato. Il nucleo Z è da alcuni considerato una "frammentazione " del nucleo gracile. Di qui, dopo aver contratto sinapsi con i neuroni del nucleo Z, le fibre viaggiano in profondità alle fibre arcuate per raggiungere il lemnisco mediale a livello talamico per poi
proiettarsi alla corteccia cerebrale somoestesica. Mettendo insieme queste informazioni di carattere neuroanatomico con quelle che sono le principali lesioni riscontrate nei soggetti con spondilomielopatia cervicale caudale, in cui la compressione midollare si osserva soprattutto nella porzione dorso-laterale del midollo spinale, risulta evidente che le fibre che maggiormente
risentono della compressione midollare sono proprio quelle del fascicolo spinocerebellari dorsale (38). Un'altra considerazione fatta è che per gli arti posteriori esiste una percentuale minore di fibre motorie rispetto a quelle che raggiungono gli arti anteriori. I riflessi spinali saranno ridotti/assenti a carico degli arti anteriori (lesione da Motoneurone Inferiore) e normali/aumentati a carico dei posteriori, tutti segni tipici di una lesione del midollo spinale cervico-toracico.
Da un punto di vista diagnostico differenziale, seppure il quadro clinico sia abbastanza caratteristico, bisogna includere altre cause che causano compressione progressiva del midollo spinale. Non vanno pertanto dimenticate le forme neoplastiche (sono affetti soggetti di età adulta-anziana) primarie o secondarie del midollo spinale (neurofibromi, meningiomi, neuroepiteliomi) o dei tessuti circostanti (tessuto connettivo, condrosarcomi, fibrosarcomi, o tessuto osseo, osteosarcomi). Da considerare anche altre forme di "lesioni occupanti spazio" come ascessi epidurali, osteomielite vertebrale ed anche processi degenerativi come le ernie del disco non associate alle altre malformazioni ed alterazioni riscontrabili nella SMCC. —–SE L'INSORGENZA E' ACUTA BISOGNA PRENDERE IN CONSIDERAZIONE ANCHE EVENTUALI TRAUMI ALLA COLONNA VERTEBRALE——- (fratture, lussazioni) se esiste questa possibilità riportata in anamnesi, e non escludere l'embolo fibrocartilagineo. Anche processi infettivi come le discospondilite sono da considerare soprattutto in quei casi in cui i sintomi sono accompagnati da dolore.
EPILESSIA: FISIOPATOLOGIA E CLASSIFICAZIONI
Fisiopatologia della crisi epilettica
Comprendere la fisiopatologia sottostante l'attacco epilettico è fondamentale per iniziare un percorso diagnostico, selezionare il miglior farmaco per ogni singolo paziente e prevedere la possibilità di farmacoresistenza ai farmaci antiepilettici (Penderis, 2014). L'epilettogenesi è il processo mediante il quale un focolaio epilettogeno si sviluppa o incrementa le sue dimensioni, con associato un aumento di frequenza o gravità delle crisi (Penderis, 2014). Il principio di base nel meccanismo dell'epilessia è la presenza di uno squilibrio nella neurotrasmissione eccitatoria e inibitoria. L'epilessia si sviluppa quando l'equilibrio si sposta verso un'eccessiva eccitazione (Podell, 2004; Jaggy, 2008). I meccanismi fisiopatologici che portano al verificarsi di crisi epilettiche sono essenzialmente :Aumento della neurotrasmissione eccitatoria Il principale neurotrasmettitore eccitatorio del sistema nervoso è il glutammato. Un potenziamento del glutammato o l'uso di un agonista dei suoi recettori promuove l'attività epilettica (Penderis, 2014). Diminuzione della neurotrasmissione inibitoria Il principale neurotrasmettitore inibitorio è l'acido gamma-amminobutirrico (GABA). L'inibizione può essere presinaptica o postsinaptica (Berendt, 2004), nei neuroni ci sono due tipi di recettori del GABA, GABA A che si trovano a livello post-sinaptico e GABA B che si trovano a livello pre-sinaptico. La stimolazione del recettore GABA A rende la cellula permeabile all'afflusso di ioni Cl- che penetrano nella cellula, la iperpolarizzano, e rendendola più stabile diminuiscono la probabilità di raggiungere la soglia per la depolarizzazione richiesta per generare un potenziale d'azione ( Penderis, 2004). La stimolazione dei recettori GABA B invece non porta al rilascio di ioni Clma, essendo in posizione pre-sinaptica, limita il rilascio dei neurotrasmettitori, per cui può indurre uno stato ipereccitabile e attività epilettogena (Penderis, 2004). Disfunzione dei canali ionici ligando o voltaggio-dipendenti In alcune rare epilessie idiopatiche è stato dimostrato che alcuni geni mutati sono la causa di disfunzioni nei canali ionici di sodio, calcio, cloruro e potassio e nei recettori del GABA e dell'acetilcolina (Canalopatie) e quindi causa di epilessie genetiche (Ekenstedt, 2011). Nell'uomo queste sono solo l'1%, nel cane sono ancora in corso studi genetici per dimostrare l'esistenza di mutazioni genetiche alla base di epilessie. Fino ad oggi un solo studio, sul cane Lagotto Romagnolo, ha dimostrato un difetto sul gene LG12 responsabile di un'epilessia focale, giovanile e refrattaria (Patterson, 2013). Le fasi dell'epilettogenesi Recentemente alcuni studi su roditori hanno ipotizzato che il processo di epilettogenesi sia suddiviso in 3 fasi. La prima è la fase latente, cioè il periodo che va dall'insorgenza di una lesione acuta o da un altro fattore predisponente (es. fattori genetici) fino allo sviluppo di crisi ricorrenti. Durante questo periodo, la ricerca ha dimostrato che si sviluppano delle "micro crisi" che non sfociano in attacchi rilevabili o in cambiamenti dell'elettroencefalogramma. Nelle zone intorno a queste micro crisi si accendono dei circuiti eccitatori che portano a una forte attivazione dei circuiti eccitatori ricorrenti, si ha un calo della forza sinaptica e gli interneuroni inibitori vengono sostituiti con interneuroni eccitatori. La combinazione di questi 3 processi porta a un aumento dell'eccitabilità nella zona e allo sviluppo di un'attività epilettica evidente (Patterson, 2013; Baroni, 2015). Nella seconda fase si ha un aumento dei recettori del glutammato e perdita di recettori GABA per cui vengono meno i meccanismi di feedback inibitori GABAergici e ciò porta all'espressione di crisi epilettiche focali e generalizzate. Si sa che nei neuroni esistono recettori GABA situati anche al di fuori delle sinapsi, il cui ruolo consiste in un controllo dell'eccitabilità neuronale insieme ai recettori GABA sinaptici. I recettori per il GABA, e in particolare GABA A sono delle molecole pentameriche costituite da due subunità .Generalmente nei recettori sinaptici è presente la subunità a cui si legano le benzodiazepine potenziando l'effetto inibitorio, mentre nei recettori GABA extrasinaptici è presente la subunità alfa. La terza fase, si sviluppa in alcuni gruppi di pazienti e consiste in una refrattarietà alle terapie farmacologiche. Infatti a seconda che vengano a mancare recettori inibitori GABA sinaptici o extrasinaptici si avrà una differente affinità ai vari farmaci antiepilettici ed il paziente potrà mostrare refrattarietà verso determinate terapie. Inoltre il persistente ed eccessivo rilascio di glutammato nel cervello epilettico porta ad una "eccitotossicità" nel cervello con incremento di: neurodegenerazione, neurogenesi, germinazione assonale, attivazione delle cellule gliali, invasione di cellule infiammatorie, angiogenesi e alterazione dei recettori dei canali ionici, già iniziate nella fase latente, che contribuiscono alla plasticità sinaptica. Tutto ciò porta alla mancanza di recettori GABA, in particolare GABA A sinaptici, per cui essendoci meno subunità disponibili al legame con le benzodiazepine si avrà la terza fase dell'epilettogenesi, in cui il paziente sarà refrattario alle benzodiazepine (Baroni, 2015). Come si è già accennato all'inizio, comprendere i meccanismi e le fasi dell'epilettogenesi è fondamentale per scegliere la terapia farmacologica più appropriata per ciascun paziente e per, eventualmente in futuro, prevenire i meccanismi che portano allo sviluppo di un focus epilettogeno (Patterson, 2013).
Classificazione epilessia
Esistono numerose somiglianze tra l'epilessia canina e quella umana, dalla quale derivano molte delle conoscenze che si hanno in medicina veterinaria (Uriarte, 2016). L' "International Veterinary Epilepsy Task Force" (IVETF) ha realizzato un consenso per definire terminologia, classificazioni, diagnosi e trattamento riguardanti l'epilessia (De Risio, 2015), prendendo spunto dalla letteratura medica umana, e si basa sulle linee guida dell'ILAE "International League Against Epilepsy" (Berendt et al, 2015). Le classificazioni sono essenzialmente due e si basano, una sull'eziologia sottostante e l'altra sulle manifestazioni cliniche.
Classificazione eziologica Inizialmente, dal punto di vista eziologico, l'epilessia è stata divisa in due grandi categorie:
All'interno di questa seconda categoria le patologie erano suddivise in "intracraniche" ed "extracraniche" (in cui erano menzionate anche le malattie metaboliche e le intossicazioni (Nelson-Couto, 1995). In medicina veterinaria esiste ancora molta confusione riguardo la terminologia da utilizzare nel classificare e definire i vari tipi di epilessia Oggi, seguendo le linee guida dell'ILAE, molti autori preferiscono classificare l'epilessia in:
Altri autori, invece, sempre prendendo spunto dalle linee guida dell'ILAE, preferiscono classificare l'epilessia in:
Tuttavia, sono ancora in corso dibattiti, fra i vari autori, riguardo la correttezza dell'uso di una classificazione piuttosto che un'altra e non si è ancora giunti ad un consenso unanime (Mariani, 2013; Gandini, 2015).
Classificazione clinica Le crisi epilettiche vengono classificate in base alle manifestazioni cliniche in:
Ed in base alla frequenza in:
Le crisi epilettiche parziali sono autolimitanti o isolate . Originano da un gruppo di neuroni localizzati in una specifica area della corteccia cerebrale, chiamata focus epilettogeno, ed i segni clinici riflettono le funzioni dell'area coinvolta (Berendt, 2004). In medicina umana vengono definite semplici se non c'è perdita di coscienza o, al contrario, se vi è perdita di coscienza, sono definite complesse. Le crisi focali possono avere una generalizzazione secondaria, per cui l'attività convulsiva non rimane circoscritta a un'area specifica del cervello ma si espande rapidamente alle strutture sub-corticali (soprattutto i nuclei talamici) e coinvolge altre aree del cervello o il cervello intero (Berendt, 2004) Negli animali può essere difficile riconoscere se c'è o meno perdita di coscienza. Possono essere interpretati in tal senso alcuni segnali come confusione o difficoltà nel riconoscere il proprietario ma risulta molto difficile, senza una registrazione EEG, discriminare una crisi semplice da una complessa (Berendt, 2004). In medicina umana le crisi focali vengono ulteriormente suddivise in focali motorie e focali sensoriali. La crisi focale motoria consiste in automatismi, come un movimento anormale di una parte del corpo, girare le testa da un lato, contrazione ritmica di un arto o di muscoli facciali, o movimenti di masticazione. Le crisi focali sensoriali, così come le crisi semplici, sono difficili da riconoscere negli animali. Nell'uomo tipici segni sono formicolio, dolore o allucinazioni visive. Negli animali la "caccia alle mosche" potrebbe essere un segno di allucinazione visiva durante una crisi sensoriale (Thomas, 2010). L'aura, che in medicina umana è considerata un evento pre ictale, è definita come una manifestazione avente sintomi sensoriali e psicosensoriali che può precedere la crisi e alcuni neurologi veterinari suggeriscono che quando questa si verifica da sola può essere considerata un semplice attacco focale sensoriale, sebbene sia di difficile determinazione nel cane (Chandler, 2005). Le crisi epilettiche generalizzate coinvolgono entrambi gli emisferi cerebrali e possono iniziare come tali oppure progredire secondariamente a partire da attacchi focali (Podell, 2004). Un tempo definite col nome di "Grande male epilettico" (Buonaccorsi, 1995), possono avvenire con compromissione della coscienza (Penderis, 2014) e vengono suddivise in base al fatto che l'animale abbia una o più delle seguenti fasi:
La fase tonica consiste in una maggiore rigidità muscolare generalizzata; la mioclonica è un'improvvisa, breve, involontaria, singola o multipla contrazione di muscoli o gruppi muscolari. La fase clonica consiste in un movimento muscolare ripetitivo regolarmente, mentre la fase atonica è un'improvvisa perdita del tono muscolare che solitamente dura 1-2 secondi. Le crisi epilettiche generalizzate più comuni sono di tipo tonico-clonico e cioè una sequenza in cui si susseguono ripetutamente fase tonica e fase clonica, quindi fasi di rigidità e contrazione muscolare, e in cui si ha generalmente perdita di coscienza (Chandler, 2006). Queste possono durare alcuni minuti o prolungarsi e possono esserci segni involontari come aumento della salivazione, urinazione e defecazione (Thomas, 2010). Infine ci sono le assenze, precedentemente conosciute come "piccolo male", in cui si hanno dei brevi indebolimenti di coscienza senza perdita del tono muscolare. Queste sono una forma comune di attacchi generalizzati nell'uomo (in particolare nei bambini) e sembrano essere rari nel cane, sebbene è possibile che si verifichino ma sono difficili da rilevare clinicamente (Chandler, 2006). Si parla di crisi a grappolo (o cluster seizures) quando si presentano 2 o più attacchi epilettici durante un periodo che può andare da alcuni minuti a poche ore, in cui il cane riprende coscienza negli intervalli tra gli attacchi (Berendt, 2004). Lo stato epilettico, invece, è definito come "un attacco epilettico continuo che dura più di 30 minuti" o "due o più crisi sequenziali tra le quali, però, non si ha completo recupero della coscienza". Non dev'essere confuso con le crisi a grappolo e rappresenta un'emergenza clinica che richiede trattamento immediato (Berendt, 2004; Gianni, 2015). Può manifestarsi in animali affetti da epilessia primaria, sintomatica o reattiva e se non trattato efficacemente può causare gravi lesioni cerebrali (Baroni, 2015). In medicina umana, un numero crescente di studi ha identificato comorbidità neuro-comportamentali o psichiatriche associate a disturbi epilettici ricorrenti. Alcuni studi recenti hanno suggerito non solo che la presenza di epilessia aumenta il rischio di questi disturbi, ma anche che esiste una relazione bidirezionale, per cui una storia di depressione o ansia aumenta il rischio di crisi epilettiche non provocate ed epilessia. In un recente studio, i cambiamenti neuro-comportamentali sono risultati essere correlati non solo con l'epilessia, ma anche con la risposta farmacologica. Sono stati visti cambiamenti comportamentali legati allo sviluppo di crisi epilettiche anche nei cani, ma non è stata notata una correlazione tra lo sviluppo di disturbi comportamentali e il tipo di crisi, come invece avviene nell'uomo (Shihab, 2011). Tra i disturbi evidenziati, uno studio ha ipotizzato una relazione tra l'epilessia e lo sviluppo di un disordine da deficit di attenzione/iperattività (ADHD), che necessita però, ulteriori studi su un più ampio campione di cani, utilizzando le somiglianze tra epilessia canina e umana (Packer, 2015).
La variabile razza e il ruolo della genetica nell'aggressione.
Molti degli studi effettuati a proposito dei problemi comportamentali, relativi all‘aggressività, si sono concentrati su alcune razze di cane in particolare: tra le razze più frequentemente coinvolte in tali studi ritroviamo il Cocker Spaniel (Serpell e Podberscek, 1997; Perez-Guisado et al., 2006) , il Golden Retriever (Van der Berg et al.,
2003, 2005; Liinamo et al., 2006) e i cani tipo Pittbull e American Staffordshire Terrier (Böttjer, 2003; Dowd, 2006; Shalke et al., 2008, 2010). In alcune razze, si riporta l‘esistenza di linee di sangue caratterizzate da una forte tendenza all‘aggressività: l‘esempio maggiormente significativo riguarda il Cocker Spaniel Inglese. In questa
razza è descritta la cosiddetta ―Sindrome rabbiosa o disturbo furioso o distimia del Cocker Spaniel‖, trasmessa geneticamente e presente prevalentemente negli individui dal mantello fulvo o nero e caratterizzata dall‘insorgenza improvvisa di episodi di irritabilità, ipereccitabilità e iperaggressività (Pageat, 1999; Dehasse, 2001; Amat et al., 2009). Amat e colleghi (2009) riportano in particolare, come le forme più frequenti di aggressività in tale razza siano prevalentemente quelle dirette al proprietario. Anche nel Bovaro del Bernese, si riportano fenomeni di aggressività immotivata, legati a specifiche genealogie. Già nel 1983, Borchelt ha classificato alcune razze sulla base della frequenza nel tipo di aggressività manifestata e ha registrato come l‘aggressività da dominanza fosse più frequente nel Cocker Spaniel, nel Doberman Pinscher, nel Barboncino Toy e nel Lhasa Apso; l‘aggressività possessiva nel Cocker Spaniel; l‘aggressività protettiva nei cani da lavoro e in particolare nel Pastore Tedesco; l‘aggressività da paura nel Pastore Tedesco, Cocker Spaniel e Barboncini Toy. Nonostante non sia possibile un‘analisi precisa relativa al ruolo della genetica e della razza nell‘espressione delle manifestazioni aggressive di un individuo, è noto come alcuni fenotipi comportamentali possano essere associati a specifiche razze, come conseguenza dell‘intenso processo di selezione genetica. Da tenere sempre in considerazione, oltre alla predisposizione reattiva individuale geneticamente determinata è l‘effetto dell‘ambiente (Gallicchio, 2001). Si ipotizzano, in relazione alla portata della genetica e dell‘ambiente, valori rispettivi del 30 e del 50% nell‘influenzare l‘insorgenza di comportamenti aggressivi. La genetica esercita un ruolo rilevante nello sviluppo dei comportamenti aggressivi, tramite l‘intermediazione della reattività, dell‘eccitabilità, dell‘impulsività, del mancato controllo del morso e della visione del mondo da parte del cane. Dehasse (2004) riporta come al passaggio dalla maturazione sessuale all‘età adulta, molti individui che hanno vissuto una socializzazione adeguata, modifichino notevolmente il proprio comportamento che assume caratteristiche simili a quelle manifestate da uno dei propri genitori. Risulta pertanto necessaria un‘attenta analisi del comportamento dei riproduttori, poiché se uno dei genitori manifesta aggressività, il rischio ripresentazione di tale comportamento nella prole varia dal 25 al 50%. Il trattamento (sia comportamentale, sia farmacologico) di un soggetto aggressivo, dotato di un determinismo genetico e pertanto con un problema radicato nel proprio patrimonio genetico, può risultare particolarmente lungo e difficoltoso (Dehasse, 2006) Overall (2001) sottolinea come sia inoltre necessario porre l‘attenzione sulle razze maggiormente rappresentate negli studi relativi agli episodi di morsicatura e in particolare, in relazione alla popolarità delle stesse, spesso non correlata con l‘effettiva incidenza nella popolazione. Non è sempre possibile infatti, risalire alle reali dimensioni di popolazione per ogni razza e inoltre, si assiste a una continua modificazione della posizione delle razze nelle statistiche relative agli episodi aggressivi, in relazione alle variazioni nelle dimensioni delle popolazioni stesse che si basano sulle preferenze dei proprietari e sulle mode emergenti del momento, piuttosto che su effettivi cambiamenti nelle tendenze aggressive delle diverse razze.
A tal proposito, si pensi alla nota cattiva reputazione di razze quali il Rottweiler e il Dobermann, razze in realtà responsabili di una percentuale di ferite minima al contrario di Pastore Tedesco e Bull Terrier, responsabili invece degli attacchi più gravi. La complessità del problema viene accentuata anche dal fatto che spesso l‘aggressività inappropriata viene ad essere considerata come una normale caratteristica di una specifica razza o sottovalutata quando manifestata da cani di taglia piccola, poiché meno pericolosa. Marchesini (2012) sottolinea come il diverso bilanciamento motivazionale, la diversa soglia di reattività-attivazione e di assetto emozionale e il posizionamento di arousal, tipici di razze distinte, siano elementi da valutare attentamente nell‘analisi di un soggetto potenzialmente aggressivo.
A proposito delle motivazioni, tra quelle che possono manifestarsi in maniera più problematica e rientrare nei comportamenti aggressivi ritroviamo le motivazioni predatoria, competitiva, territoriale, protettiva, possessiva e sociale. In vista degli assetti generali di partenza caratteristici delle diverse razze, si potranno avere rischi di enfatizzazione o di generalizzazione problematiche di motivazioni diverse. Solitamente, il momento in cui si può assistere a derive di tipo aggressivo si ha
nel periodo prepuberale, per poi accentuarsi durante l‘adolescenza e la post-adolescenza. Anche l‘assetto emozionale e i livelli di arousal rappresentano dei fattori predisponenti che si differenziano nelle varie razze: si pensi ad esempio, alle razze più diffidenti e quindi più soggette a comportamenti di allerta, difesa e quindi possessività e territorialità; altre razze più sicure e assertive manifestano facilmente atteggiamenti di competizione e di mantenimento del controllo; razze più insicure interpretano le situazioni come eventi ostili dai quali difendersi; razze con alti livelli di arousal hanno maggiore difficoltà nell‘autocontrollo e razze più sensibili ai cambiamenti possono eccedere in reattività.
La mielopatia degenerativa, è la malattia progressiva e degenerativa del midollo spinale del cane anziano, infatti inizia a comparire dagli 8 anni di età. Nelle fasi iniziali, il cane mostra scoordinazione nei movimenti, le zampe posteriori non reggono o fa movimenti insoliti: barcolla, trascina una o entrambe le zampe o, cammina con le nocche.
La malattia può iniziare colpendo prima una delle estremità posteriori, poi l'altra fino ad arrivare al torace. La debolezza peggiora progressivamente; il cane ha difficoltà a rimanere in piedi ed a camminare. Si tratta di una malattia poco dolorosa che nella maggior parte dei casi agisce sulla capacità di urinare o defecare, rendendo l'animale incontinente.
Non ci sono trattamenti che riducono o bloccano questa degenerazione, ma esistono delle soluzioni e degli accorgimenti per aiutare questi cani che soffrono, a mantenere la loro qualità di vita. Ad esempio, è fondamentale che l'animale faccia esercizi per la riabilitazione e che mantenga le sue attività abituali, per evitare ulcere da pressione, infezioni del tratto urinario e perdita di mobilità.
Con la fisioterapia e la riabilitazione si può contribuire a rallentare il processo degenerativo. È infatti possibile controllare i sintomi secondari del dolore (tensioni) di cui l'animale soffre quando cerca di muoversi. Si cerca di limitare l'insorgenza di atrofia (perdita muscolare) e di preservare la funzione degli arti anteriori, come anche quella degli arti posteriori; per evitare ulcere e per tenerlo attivo il maggior tempo possibile, bisogna stimolare la sua sensibilità e lavorare sulla coordinazione e l'equilibrio. In questo modo si cerca di milgiorare lo stile di vita del vostro cane.
Esistono infatti esercizi passivi di mobilizzazione, massaggi, stretching, combinati con il calore,impacchi caldi e con dispositivo che aiutano a combattere l'atrofia ed il dolore, come gli stimolatori muscolari
C'è inoltre un'altra parte della terapia che tenta di mantenere il cane in movimento. Per questo tipo di attività si utilizzano diversi strumenti per la riabilitazione, come palloni, piastre e coni, ma anche idroterapia, passeggiate, etc.. Il tutto per combinare una mobilità attiva ed un buon coordinamento, senza perdita di equilibrio. Questo tipo di attività è fortemente legata alla degenerazione della malattia, quindi subisce molte alterazioni; per questo motivo, quando il cane inizia a peggiorare e a non essere in grado di sostenere il proprio peso, è necessario mantenerlo in movimento aiutandolo con l'uso di un' imbragatura di supporto per le zampe posteriori, o nel caso in cui sia necessario sostenere anche le zampe anteriori, un'imbragatura integrale.
Negli stadi avanzati della malattia è necessario l'uso di un carrello per cani.
Mentre il cane sta a casa, è importante che riposi in un luogo confortevole, soffice ma stabile in modo da potersi distendere facilmente. Se la malattia è agli inizi e l' animale trascina i piedi, o cammina con le nocche è importante proteggere questa zona usando ad esempio calzari per cani.
Durante il corso della malattia, per evitare complicazioni, è molto importante la corretta nutrizione del cane ed controllo del peso.
Il malessere fisico e mentale dei cani di razza è una preoccupazione sempre più diffusa tra i veterinari. Ma la presa di coscienza che proprio dietro i concetti di "cani di razza" e "razza pura" si possano nascondere delle insidie per le funzioni fisiologiche e la capacità di movimento degli animali non è recente: risale infatti al 1967.
In quell'anno al Congresso mondiale di Parigi organizzato dall'Associazione veterinaria per i piccoli animali (World Small Animal Veterinary Association- WSAVA), comprovato il livello di aberrazione di certi "campioni" pluripremiati nelle competizioni nazionali e internazionali, e considerando che proprio questi individui erano guardati dagli allevatori come l'"ideale" da perseguire, veniva diramato un comunicato piuttosto chiaro:"Ogni standard – vi si leggeva – dovrebbe contenere una raccomandazione per il giudice della relativa razza che attiri l'attenzione su quei particolari che rivestono importanza ai fini della funzione fisiologica, della capacità di movimento e della integrità fisica".
Otto anni più tardi il commento di Eberhard Trumler (il più noto allievo di Konrad Lorenz) nel suo libro Il Cane Preso sul Serio non poteva essere più sarcastico: "... ciò presuppone, naturalmente, che ci si renda conto in primo luogo che l'essere continuamente malati non rientra nella normalità dello stato fisico di un cane, ma è un segno inconfondibile di debolezza costituzionale". Altri trentasei anni sono trascorsi e buona parte del lavoro del medico veterinario oggi consiste nel tamponare gli effetti dei difetti congeniti e delle predisposizioni su base ereditaria degli animali, squilibri endocrini e riproduttivi compresi. Non si tratta di sventure "naturali" cadute tra noi da chissà dove: ognuno di questi problemi dipende dal fatto che nella selezione delle razze si trascura il benessere biologico del cane (le sue attitudini funzionali, le capacità fisiche, l'integrità riproduttiva, la resistenza alle malattie) per puntare tutto sulle caratteristiche "estetiche". E infatti a redigere gli standard di razza sono per lo più allevatori e cinologi, quasi mai genetisti né medici veterinari, due categorie di esperti che potrebbero opporsi a questa tendenza ma che il più delle volte non vengono neppure consultati.
Il maltrattamento genetico dei cani si sviluppa su diversi fronti:
La ricerca estetica Quando viene perseguita fine a se stessa e senza controlli medici, la selezione di tipo estetico sfocia in anomalie che comportano una diminuzione della forma fisica e della resistenza degli animali (per esempio nanismo e gigantismo eccessivi) oppure in gravi patologie e aberrazioni su base ereditaria, come per esempio la depressione da consanguineità (inbreeding depression) e l'estrema vulnerabilità a disturbi mentali di vario tipo.
Esclusioni arbitrarie La depressione da consanguineità peggiora via via che aumenta il numero di individui "scartati" dai piani d'allevamento perché risultano affetti da patologie genetiche (per esempio displasie articolari) oppure perché caratterizzati da colori e marcature non graditi pur trattandosi di cani sani ed equilibrati. Neanche in fatto di genetica dei colori gli allevatori dimostrano di possedere le competenze necessarie per comprendere la differenza relativa di importanza tra un colore estraneo alla storia della razza e un colore o una pezzatura semplicemente meno graditi. Col rischio che proprio questi ultimi finiscano col diventare delle priorità nelle scelte dei riproduttori!
Stalloni pericolosi Non è raro che allevatori-espositori senza scrupoli presentino nei ring – e quindi promuovano come stalloni – cani "preparati" in modo tale da esibire un modello morfologico perfetto eppure portatori di pericolose patologie ereditarie (ad esempio anomalie cardiache congenite).
Ciascuno per sé Troppi allevatori non dimostrano alcun desiderio né capacità di cooperare e confrontarsi tra loro per valutare i problemi che via via inevitabilmente insorgono, problemi che vengono invece rigorosamente tenuti nascosti per non pregiudicare il successo dei riproduttori. Sarebbe invece importante compilare dei registri aperti con la segnalazione delle patologie ereditarie di cui ogni individuo è risultato portatore; questa è anzi l'unica strategia veramente vincente in questo campo e per fortuna alcuni "illuminati" cominciano a emergere.
La controselezione E' in crescita anche il fenomeno della "controselezione", che comporta un numero sempre più grande di cani con alterazioni del comportamento sociale. Gli esempi più eclatanti sono i cani allevati a fini di combattimento oppure quelli con una riduzione delle capacità di comunicare (ad esempio i cani di tipo "bull") e/o gli animali soggetti ad aggressività immotivata. I prodotti di questa selezione controevolutiva (bisogna ricordare che il cane è una specie sociale per eccellenza) tendono a divenire con preoccupante frequenza adulti difficili da gestire per famiglie non preparate e, di conseguenza, finiscono per essere una componente importante delle popolazioni di animali che passano la loro vita nei canili.
Le fabbriche di cuccioli Un'altra componente importante del maltrattamento genetico è data dall'allevamento commerciale senza criteri selettivi presso le cosiddette "fabbriche di cuccioli" o puppy farms, il cui unico interesse è di tipo economico. In questi allevamenti in batteria, i cani riproduttori non vengono sottoposti ad alcun vaglio selettivo, né morfologico né sanitario né comportamentale. Nelle puppy farms, inoltre, gli animali vengono molto spesso detenuti in condizioni di malgestione o addirittura di maltrattamento per deprivazione di stimoli ambientali e sociali.
Nel corso degli ultimi cinquant'anni, nell'ambito della cinofilia sportiva, è progressivamente cresciuto l'ossessivo interesse per le esposizioni di bellezza che per un numero significativo di allevatori sono l'obiettivo prioritario, se non l'unico. Tutto si riassume nel far venire al mondo il campione, un fine coltivato nel più completo disinteresse per le caratteristiche "non estetiche" dell'animale. Tra le conseguenze di questo fenomeno c'è anche l'eclatante frammentazione delle popolazioni canine in varietà di colore e di pelo (peli duri/rasi/lunghi) e di taglia (cani giganti/medi/nani). E' evidente che soggetto della selezione deve essere l'animale nella sua interezza, non solo parti di esso, e che insieme all'aspetto morfologico si debbano considerare il temperamento, le capacità comunicative e cognitive, le attitudini sociali e, naturalmente, la globalità della salute. Tutto quello che non viene attivamente ricercato in questa selezione, andrà perduto. E' più chiaro a questo punto che cosa si intende per "maltrattamento genetico": ilvolontario o involontario disinteresse per caratteristiche che sono di grande importanza per la qualità della vita dell'animale a favore di una spiccata ricerca di tratti morfologici secondari. Tutti ne soffriranno, a partire dai cuccioli che vengono messi al mondo nella più completa indifferenza circa la vita che potranno condurre. Ma ne soffrirà profondamente anche la relazione tra il cane "geneticamente maltrattato" e la famiglia d'adozione: il coinvolgimento emotivo e il peso finanziario che comporta avere in casa un cane sofferente senza rimedio non è per nulla semplice da gestire. Per il cane tutto ciò può tradursi nella tragedia dell'abbandono o della soppressione. In conclusione, a noi pare che il maltrattamento genetico non sia meno grave del maltrattamento fisico di un singolo individuo, anzi: ci pare un fenomeno da detestare e perseguire come forma di crudeltà i cui effetti si trasmettono da una generazione all'altra. Non possiamo ammettere che la storia del cane domestico, iniziata almeno 15-20.000 anni fa, svariati millenni prima dell'addomesticamento di qualunque altro animale, venga mortificata da queste aberrazioni. Auspichiamo quindi una presa di coscienza collettiva e la conseguente denuncia del fenomeno. L'approfondita conoscenza delle tante dimensioni chiamate in causa da questo fenomeno è la base indispensabile per proporre interventi correttivi che dovranno coinvolgere e convincere tutte le categorie professionali e amatoriali chegravitano intorno all'allevamento del cane di razza: non solo gli allevatori, quindi, ma i medici veterinari e le loro associazioni professionali e accademiche, i privati che desiderano adottare un cane di razza e i dirigenti dei kennel club nazionali e internazionali.
Per fortuna, in questi ultimi anni stiamo assistendo all'assunzione di responsabilità di alcuni kennel club, a cominciare da quelli scandinavi e britannico. Senza contare che anche l'ENCI (Ente nazionale della cinofilia italiana) ha sottoscritto questa primavera un nuovo codice deontologico per i giudici di esposizione: il testo impone una grande attenzione alle condizioni sanitarie e caratteriali dei cani presentati e decreta di voler combattere il maltrattamento genetico con serietà.
La Panosteitie è una malattia che colpisce soprattutto cani giovani e di taglia grande. Essa è caratterizzata da infiammazione all'interno delle ossa, in particolare quelle delle zampe posteriori. La zoppia contemporanea di uno o più arti, nel cane, è spesso evidente.
La malattia può persistere per 1-6 mesi, con una durata media di circa 2-3 mesi. Durante il decorso della malattia, periodi di dolore e zoppia, spesso molto evidenti, sono interrotti da intervalli di buona salute e perfetta forma fisica. Zoppia può passare da una gamba all'altra, e il grado di disagio per cane, può variare da lieve a molto marcato. Il pieno recupero è frequente e di solito è previsto, anche nei casi più difficili.
Punti importanti nel trattamento della panosteite.
1. La panosteite è considerata una malattia autolimitante. Il ripristino delle condizioni generali si verifica dopo che la malattia segue il suo corso. L'unico trattamento attualmente noto è la somministrazione orale di farmaci antinfiammatori o antidolorifici.
2. Possono essere necessarie diverse radiografie per valutare in modo approfondito il decorso della malattia ed escludere al contempo, il verificarsi di altre condizioni che possano interessare l'apparato muscolo scheletrico.
3. Esercizio fisico : Durante i periodi di recrudescenza della patologia, sono del tutto normali periodi di inattività, il soggetto accusando dolore, tenderà a non muoversi. Durante questi periodi può essere favorevole limitare l'attività fisica. Durante i periodi senza dolore, non è necessario ridurre l'attività fisica del cane.
4. Dieta: Seguire tutte le istruzioni che vengono fornite dal medico veterinario, fornire una alimentazione priva di troppi grassi e non eccedere con il quantitativo.
Informare sempre il medico veterinario se si manifesta uno qualsiasi dei seguenti casi:
* Le gambe del cane tendono a gonfiarsi.
* Il vostro cane sembra insolitamente a disagio.
* Si nota un cambiamento nello stato generale di salute del vostro cane.
Diagnosi medica:
Che cosa è la panosteite?
La panosteite è una patologia autolimitante, caratterizzata da una condizione dolorosa. Il dolore colpisce prevalentemente le ossa lunghe dei giovani cani mdio-grandi di razza e non, in particolare si evidenzia nei Pastori Tedeschi, o in cani con essi incrociati.
Quali sono le cause panosteite?
La causa di panosteite è, al momento, è sconosciuta. I tentativi di isolare germi,così come batteri o virus, quali agenti eziologici non hanno avuto successo. Le teorie relative alla nutrizione non appropriata, la condizione allergica primaria, il deficit endocrino (ormonale) o metabolico (che coinvolge l'accumulo e la ripartizione nei diversi tessuti di energia), sono tutte cause ancora da provare.
Quali sono i segni di panosteite?
La zoppia di intensità variabile, di solito inizia dalle zampe anteriori, ma può influenzare anche le zampe posteriori, con conseguente zoppia "shifting"( saltellante) da una zampa all'altra. Si ha lieve depressione, perdita di appetito e perdita di peso che si può verificare in pazienti gravemente colpiti. I cani affetti da pan osteite, in generale mostrano segni di dolore alla palpazione profonda delle ossa lunghe della gamba interessata . Possono anche essere presenti febbricola e atrofia muscolare .
Come viene diagnosticata la panosteite?
Il veterinario può sospettare panosteite dopo aver esaminato il vostro animale domestico. Le radiografie (raggi X) sono utili a confermare la presenza della malattia. La diagnosi differenziale con altre patologie del sistema scheletrico.
Come si tratta la panosteite?
Poiché la causa della panosteite è sconosciuta, non esiste alcun trattamento specifico per questa condizione patologica. Il trattamento dei sintomi del dolore è utile per l'animale domestico, ma sembra non avere alcuna influenza sulla durata dei segni clinici, o del perdurare della patologia. L'obiettivo primario del trattamento è di ridurre al minimo il dolore e l'infiammazione con farmaci anti dolorifici.
Sebbene non sia stato dimostrato come l'inattività influisca positivamente sul recupero del cane, si è evidenziato invece quanto e come sia utile l'esercizio fisico sotto la guida di personale specializzato. L'intervento di un buon preparatore atletico o di un trainer può abbreviare il tempo di recupero. I segni di dolore e zoppia, possono durare per alcune settimane in modo conclamato, per poi scemare nel tempo. Una valido aiuto per il trattamento della pan osteite, viene dalla medicina omeopatica, la quale fornisce una serie di preparati specifici, per far si che la "restitutium ad integrum", si abbia nel minor tempo possibile.
Sebbene l'attività limitata non è stato dimostrato che accelerare il recupero, che sembra ridurre il dolore associato con la condizione. I segni di dolore e zoppia può durare per diverse settimane.
Qual è la prognosi per gli animali con panosteite?
La prognosi a lungo termine, per un cane con panosteite è molto buona. Mentre i segni clinici di zoppia e dolore possono durare diverse settimane, il recupero completo è la norma. Tuttavia, la recidiva dei segni clinici e di zoppia è comune fino a due anni di età.
Il fegato è una delle ghiandole annesse all'apparato digerente, ed ha molte funzioni all'interno dell'organismo del cane; tuttavia sono molte le problematiche che possono interessarlo, che di solito si evidenziano all'inizio con episodi di vomito, diarrea con feci spesso di colori anomali (gialle) e stanchezza cronica del cane.
Per questo cercheremo di capire per prima cosa che cos'è il fegato, quali sono le sue funzioni, quali le malattie che possono interessarlo e, nonostante la cura sia sempre una prerogativa del veterinario, qual è l'alimentazione di supporto per il cane con epatopatia, che è una questione molto importante.
Il fegato
Le funzioni del fegato nel cane non sono diverse dalle nostre. Il fegato è una ghiandola che fa parte dell'apparato digerente, e che in esso immette un materiale di scarto che è la bile, che ha però funzione di digerire i grassi (e colora le feci del tipico marrone, ecco perché feci di colore diverso significano spesso problemi al fegato).
Le funzioni del fegato nell'organismo sono davvero tantissime, ma le principali sono le seguenti:
Il fegato è il magazzino degli zuccheri. Tutto il sangue che arriva dall'intestino, quindi ricco di sostanze alimentari assorbite, passa dal fegato che le immagazzina al suo interno. In particolare immagazzina gli zuccheri, ma anche i grassi.
Il fegato produce la bile, che è il suo materiale di scarto. I problemi alle vie biliari arrivano se c'è un'ostruzione (calcoli) o infezione ala cistifellea, il sacchetto che la immagazzina; in quel caso la bile rimane nel fegato e porta a problemi di derivazione epatica come l'ittero.
Il fegato produce le proteine, in particolare quelle relative alla coagulazione del sangue ma non solo. Molte delle proteine che sono nel sangue sono proprio prodotte dal fegato, e se ci sono problemi queste proteine non vengono proprio prodotte.
La funzione in assoluto più importante del fegato è però quella di detossificazione. È una specie di dottore, che rende le sostanze velenose o dannose (alcool, farmaci, principi attivi) innocue e le modifica perché finiscano nei reni che le elimineranno. Una qualsiasi malattia epatica porta alla perdita di questa funzione e le sostanze tossiche inizeranno a girare per l'organismo. In particolare saranno poi dannose per il cervello, in una situazione detta encefalopatia epatica, la peggiore tra le conseguenze delle malattie epatiche.
Le cause che possono provocare un problema al fegato sono davvero tante. Da una parte ci sono i problemi alimentari, come quelli che interessano i cani obesi (in cui si accumula così tanto grasso nel fegato che questo smette di funzionare).
Ci sono poi i problemi tossici, ovvero sostanze (anche l'alcool stesso) che rovinano le cellule epatiche facendone diminuire le dimensioni e quindi le loro funzioni; ci sono poi le malattie infettive, alcune delle quali (leptospirosi) possono causare danni al fegato, e anche i tumori, che colpiscono in particolar modo i cani anziani e fanno perdere progressivamente le funzioni del fegato.
Alimentazione in corso di malattie epatiche
Dopo aver capito il funzionamento del fegato e quali sono le funzioni, essenziali per l'organismo, che si vanno a perdere in corso di malattia epatica, cerchiamo di capire come questo organo può essere salvaguardato dal punto di vista alimentare.
Per prima cosa, si parte dal presupposto che la terapia farmacologica è comunque essenziale per far riprendere la funzione epatica nei limiti del possibile: mai pensare di poter curare il cane con la sola alimentazione, perché questo sarebbe un errore. Il piano alimentare corretto serve per non affaticare il fegato (rispetto ad un piano alimentare scorretto) ma bisogna sempre ricordare che a fare la parte importante nella guarigione sono i farmaci, non gli alimenti.
Detto questo, per l'alimentazione dei cani in corso di malattia epatica, di solito i veterinari consigliano i mangimi epatici, ma andiamo adesso a fare un'analisi approfondita dei fabbisogni di un cane con problemi al fegato, così da capire quali sono i suoi fabbisogni e come regolarci nel caso ci venisse proposta una dieta casalinga appositamente formulata per il fegato.
La prima cosa da sapere è che in corso di malattie epatiche la frequenza dei pasti deve essere alta, a differenza di quanto si fa con un cane sano.
Se per il cane adulto si consiglia di non superare mai i 2-3 pasti al giorno, per un cane con i problemi al fegato si devono superare, arrivando a dilazionare la razione in cinque o sei pasti. Questo perché in questo modo non solo si garantisce una maggiore digeribilità di ciò che il cane mangia (perché se il cibo è poco viene digerito meglio) ma si evita di sovraccaricare il fegato debilitato, in modo da non fargli arrivare tutte insieme concentrazioni altissime di materiale digerito.
Per i singoli componenti, invece, bisogna agire come segue.
Carboidrati
Iil fegato ha molto a che fare con il metabolismo dei carboidrati e degli zuccheri in generale, perché quando questi vengono assorbiti dall'intestino si depositano nel fegato, che ne è il magazzino. Un fegato malato può "sbagliare" questo sistema in due modi diversi: o non assorbe, o non rilascia lo zucchero immagazzinato.
Questo significa che sono sempre da preferire carboidrati complessi (amido, insomma farina, pane, pasta) perché devono essere semplificati nell'intestino e questo richiede tempo, per cui arriveranno poco a poco al fegato; e comunque non bisogna mai esagerare con lo zuchero, in particolare con gli zuccheri semplici (cose dolci).
Questo perché se il fegato non immagazzina gli zuccheri, questi poi saranno tutti nel sangue e avremo iperglicemia, che predispone al diabete; se vengono immagazzinati ma non rilasciati, il cane sarà in carenza energetica da ipoglicemia, insomma sverrà nel giro di pochissimo tempo. L'ipoglicemia è una situazione molto più grave dell'iperglicemia, come sicuramente saprete se conoscete una persona malata di diabete.
Lipidi
Visto che l'energia necessaria a garantire i fabbisogni del cane non si può fornire con i carboidrati, l'alternativa è proprio quella di fornirla con i lipidi, per una serie di motivi.
Per prima cosa, il cane con malattia epatica ha poco appetito, per cui quando mangia dobbiamo assicurarci che prenda molta energia, e i grassi sono ottimi perché ne contengono molta. Poi un cane con problemi al fegato produce meno bile e digerisce meno grassi, per cui tollera anche razioni che ne contengono il 30%, una quota che in un cane normale lo farebbe diventare obeso in pochi giorni. Infine i grassi si depositano, oltre che nel fegato, anche nel tessuto adiposo, e visto che il cane con problemi epatici tende a dimagrire, dare molti grassi è una cosa positiva.
Motivo per cui, a differenza di ogni altra situazione i grassi in questo caso fanno bene e, anzi, bisogna dargliene il più possibile per fare in modo che abbia la quota energetica di cui ha bisogno. Se ci accorgiamo che al cane piace il formaggio (fresco, ovviamente) possiamo darlo anche come spuntino, se non altro perché il mangime solitamente lo rifiuta.
Proteine
La componente alimentare a cui bisogna prestare maggiore attenzione sono proprio le proteine. Abbiamo visto come il fegato abbia un ruolo molto importante nel loro metabolismo, le distrugge e le crea di nuovo, e quando è malato tendenzialmente non le crea. Il che significa che le unità di base delle proteine, amminoacidi se non addirittura ammoniaca, girano per il corpo e possono dare problemi anche gravi al cervello perché non vengono processate dal fegato.
Questo significa, per prima cosa, che le proteine non devono mai mancare nella dieta. Se mancassero, il corpo andrebbe ad "autodigerire" le proprie proteine dei muscoli per farne energia, e queste creerebbero tantissimi composti dannosi. Le proteine devono essere almeno il 20% della dieta, come per un cane sano.
Seconda cosa, devono essere di elevata qualità, ovvero quando vengono digerite completamente devono creare il meno possibile dei composti tossici. Questo non va in base alla digeribilità delle proteine, ma agli amminoacidi che le compongono: si è visto che le proteine migliori, in questo senso, non sono quelle dell'uovo (che sarebbero le più digeribili) bensì quelle del latte e quelle vegetali, di solito della soia perché le altre hanno un valore biologico basso.
Per cui latte, latticini, formaggi freschi spalmabili, ricotta, tofu (che ha le proteine della soia) sono alimenti indicati, e anche appetibili, per un cane in corso di malattia epatica, proprio per questo motivo. Carne, pesce e uova dovrebbero invece essere ridotte, anche se sempre meglio dare quelle che non far andare il cane in carenza proteica. Al solito, i mangimi Epatic sono formulati già seguendo questi principi.
Vitamine e Sali minerali
Per quanto riguarda i sali minerali, ce n'è uno a cui bisogna stare molto attenti perché coinvolto con il metabolismo epatico, ed è il rame. Spesso le malattie epatiche sono causate proprio da accumulo di rame, e anche se questa non è la causa primaria della patologia è sempre bene fare attenzione che di rame, nella dieta, ce ne sia poco. Si lega infatti alle proteine epatiche e quando è tanto (cosa che succede in un fegato debilitato) porta all'intossicazione da rame.
Per gli altri minerali, che interagiscono poco con il fegato, le quantità devono essere quelle normali, mentre importanti sono le vitamine che stimolano lo sviluppo di nuove cellule epatiche e che permettono in questo modo di limitare quanto più possibile la situazione dannosa per il fegato.
Conclusioni
Sebbene, quindi, la malattia epatica non possa essere curata, di per sé, con l'alimentazione, le regole alimentari che il cane deve seguire sono molte, e molto importanti: non devono essere assolutamente sottovalutate, e non bisogna mai contravvenire alle indicazioni veterinarie.
Anche perché il fegato è un organo con grandi capacità di rigenerazione ma ci sono dei "punti di non ritorno", come la cirrosi, dai quali l'organo non può più riprendersi, condannando in questo modo il cane.
Insomma, facciamo molta attenzione, perché la situazione del cane con problemi al fegato è sempre molto delicata.
Poche pulci possono diventare rapidamente una imponente infestazione, spiacevole e costosa. Il miglior modo per combattere un'infestazione da pulci è evitare che questa si presenti. Di seguito trovate alcuni consigli pratici:
Attenetevi strettamente alle raccomandazioni per minimizzare i rischi a cui sottoponete il vostro animale, la vostra famiglia e l'ambiente in cui vivete.
Il momento migliore per usare un prodotto che controlli lo sviluppo delle pulci è prima di vederne la comparsa: ricordate che la prevenzione è la migliore cura. E' più facile prevenire lo sviluppo dell'infestazione da pulci, piuttosto che eliminarla nel momento in cui si è già verificata.
Quando una pulce adulta raggiunge il suo ospite comincia a nutrirsi di sangue ed entro 24 ore depone le uova. La deposizione avviene soprattutto nelle ore notturne, mentre il nostro animale riposa. Le uova, che non si attaccano al mantello, cominciano a cadere nell'ambiente, specialmente dove il cane o il gatto soggiornano più a lungo. In relazione alla temperatura e umidità dell'ambiente, nel giro di tre settimane si completa il ciclo di formazione: da uova a larve, quindi pupe e infine pulci adulte. Nell'ambiente infestato il 95% della popolazione delle pulci è costituito da pupe, larve e uova, ossia forme di sviluppo del parassita non visibili a occhio nudo. Le pulci adulte rappresentano solo il 5% della popolazione e, contrariamente a quanto si pensi, difficilmente saltano da un animale all'altr non si allontanano mai volontariamente dall'ospite faticosamente conquistato.
Le pulci sono "macchine da riproduzione" straordinarie: ogni femmina può deporre fino a 50 uova al giorno,per un totale di 2.000 in tutta la sua vita. La principale causa di morte per le pulci adulte è rappresentata dall'attività di pulizia dell'ospite stesso. I pasti giornalieri di una pulce sono costituiti da una quantità di sangue pari a 15 volte il loro peso. Anche il partner è altrettanto speciale: l'organo sessuale maschile, infatti, è lungo circa un terzo della lunghezza totale della pulce e l'atto sessuale può durare fino a 9 ore.
Questi particolari insetti sono un po' più piccoli delle pulci canine e ve ne sono di due specie: ambedue sono di colore giallo-grigiastro, ma un tipo si nutre di sangue e di siero e diventa blu dopo aver succhiato il sangue. Si trovano sulla pelle, nella quale inseriscono la loro piccola proboscide, e perciò sembra che si tengano ritti sulla testa. Il pidocchio del cane si può trovare soltanto su cani e gatti e non vive a lungo su altri animali; allo stesso modo, i pidocchi di altri animali non potranno sopravvive su cani o gatti. Al contrario delle pulci, i pidocchi non solo si nutrono del sangue del cane, ma si riproducono sopra di lui. La propagazione di una infestazione di pidocchi da un cane all'altro è molto più lenta che una migrazione di pulci, e può verificarsi solo attraverso contatti molto avvicinati, come la coabitazione nel canile o nella cuccia. Al tempo in cui si usavano le applicazioni di zolfo per distruggere i parassiti, le uova deposte a grappoli tra i peli del cane erano estremamente resistenti e l'unico rimedio consisteva nella pratica, oltremodo noiosa, di ripetute strigliature. Dal momento che la polvere insetticida ha la proprietà di penetrare anche nei gusti coriacei delle uova, ancora una volta, in casi di infestazione leggera o individuale, un'unica strigliatura di solito è sufficiente. Qualora si tengano insieme parecchi animali, tutti dovranno essere strigliati, siano o non siano infestati da pidocchi. Dato che ogni pelo perduto dal cane può avere attaccati dei lendini (uova) è prudente, nello stesso tempo, disinfettare anche le cucce e il canile. Gli utensili per la strigliatura, le spazzole, i collari e i corsetti dovranno essere lavati tutti a fondo e poi disinfettati. Pulci e pidocchi tendono ad ibernarsi, cessando così di dare fastidio e di rivelare la loro presenza alle temperature invernali. Perciò, nel caso di cani tenuti all'aperto o in canili non riscaldati, gli insetti possono passare inosservati fino al primo tiepido giorno di primavera. Quando un canile è esente dalle infestazioni è consigliabile non solo isolare ogni nuovo venuto, ma è prudente cercare accuratamente nel suo manto per scoprirvi eventuali visitatori. La pulce del cane è un insetto che preferibilmente striscia, piuttosto che saltare, ed è molto abile nello sfuggire all'occhio di un osservatore. Quando non vi siano che poche pulci, e invisibili, nel manto di un cane, spesso riuscirete a scoprirle a causa di piccole macchie simili a cenere di una sigaretta, che sono gli escrementi di questi insetti. Fate scorrere u dito teso attraverso il dorso del cane dalla coda alla testa e, se non riuscite ad individuare nessuna pulce nascosta nel pelo, potrete spesso riconoscere queste macchiette di polvere grigia. Nel caso che si tratti di pidocchi guardate in particolare intorno e dietro le orecchie e intorno alla base della coda, dove possono vedersi dei gruppi di minuscole uova di colore bianco-sporco appiccicate al pelo. Dopo la schiusa delle uova, per il resto della loro vita, i pidocchi si nutrono del sangue dei loro ospiti. Perciò, oltre a perdere la tranquillità a causa della irritazione cutanea, un cane gravemente infestato da questi insetti perderà sia il pelo che la sua buona forma, a causa del prurito incessante e della continua perdita di sangue.
Parassiti succhiatori di sangue esistenti in diverse specie. Si localizzano soprattutto sulla testa (fronte, orecchie, labbra, palpebre), sul collo e negli spazi interdigitali. Principalmente si trovano due tipi di zecche: il primo e rappresentato da parassiti che compaiono dai mesi primaverili a quelli estivi con maschi di colore rosso-marrone scuro, lunghi 2-3 millimetri con corpo piatto e 8 piccole zampe mentre le femmine sono più grandi (4-10 millimetri), grigiastre.
Il secondo tipo, mene frequente, con parassiti molto piccoli (1-2 millimetri al massimo), di colore violaceo.Ogni femmina può deporre da 3000 a 5000 uova che dopo l'incubazione si trasformano in larve che possono svilupparsi solo su un ospite intermedi dopo un pasto di sangue, che va di 3 ai 6 giorni, la larva cade e diventa una ninfa octopode. Un altro ospite intermedio è necessario perché si trasformi in adulto sessuato dove avverrà anche l'accoppiamento. Per staccare le zecche dal corpo dell'animale bisogna prima anestetizzarle con un batuffolo di cotone imbevuto di alcool per alcuni secondi, quindi con una pinzetta estrarla girandola in senso antiorario. Quando estratta è opportuno bruciarla subito, non schiacciarla per terra perché questo consentirebbe alla zecca di continuare il suo ciclo naturale.La profilassi sanitaria necessita di un'azione antiparassitaria sull'animale (spray, polveri, bagni antiparassitari, ecc.) e nei luoghi contaminati.La zecca trasmette diverse malattie tra le quali: la Babesiosi o Piroplasmosi, malattia del sangue dovuta alla "Babesia Canis", protozoo parassita dei globuli rossi che li distrugge per moltiplicarsi, causando anemie , in alcuni casi, porta alla morte. I sintomi della malattia sono caratterizzati anche da difficoltà nella coagulazione, insufficienza renale e turbe nervose, nonché grande spossatezza, febbre, urine scure, turbe visive.
Si tratta di un acaro appartenente alla Famiglia Demodecidi, Genere Demodex, Specie canis, responsabile della patologia nota come Demodicosi canina o Rogna Demodettica. La patologia si manifesta quando c'e' una crescita localizzata o generalizzata (2 forme distinte) superiore alla norma di Demodex canis, che e' un abituale commensale della cute del cane. Questa crescita abnorme puo' essere spesso associata a fattori predisponenti come endoparassitosi, nutrizione scadente, terapie con farmaci immunodepressivi o situazioni di stress transitorio ( estro, gravidanza, chirurgia, confinamento in pensioni per cani). Il parassitismo e' di tipo permanente, si nutre di sebo, detriti cellulari, e fluidi tissutali ed il ciclo vitale varia da 2 a 4 settimane. Il demodex vive all'interno del follicolo pilifero e nelle ghiandole sebacee. La femmina si accoppia e depone le uova all'interno del follicolo.
E' una condizione comune del cane, con maggior prevalenza nel cucciolo di 3-6 mesi. La demodicosi del cane adulto si puo' manifestare in animali che presentano immunodepressione dovuta a condizioni come iperadrenocorticismo endogeno o iatrogeno, ipotiroidismo, terapie immunodepressive, diabete mellito o neoplasie. La sintomatologia puo' essere variabile. La malattia solitamente inizia con lesioni localizzate che in seguito generalizzano.
In base al numero di lesioni rilevate viene distinta in demodicosi localizzata ( meno di 6 lesioni: alopecia, eritema, scaglie, iperpigmentazione, comedoni, prurito generalizzato) e in demodicosi generalizzata ( almeno 6 lesioni o una intera regione corporea interessata: alopecia, eritema, scaglie, iperpigmentazione, comedoni, dermatite desquamativa, manicotti follicolari, piodermite secondaria, prurito generalmente legato ad infezioni secondarie, possibile interessamento dello stato generale con ipertermia, anoressia...).
Comunemente si osserva alopecia regionale multifocale a chiazze, o alopecia diffusa con eritema di vario grado, desquamazione con scaglie, papule e/o prurito più o meno intenso. In taluni casi si instaura una condizione di sepsi batterica secondaria, possono quindi manifestarsi sintomi sistemici come febbre, anoressia, depressione.
Puo' interessare tutte le aree del corpo dalla testa alle zampe; si ritrova con maggior frequenza nella regione perioculare, perilabiale, sugli arti anteriori e sul ventre. La pododemodicosi e' caratterizzata da una qualsiasi combinazione di prurito interdigitale, dolore, eritema, alopecia, iperpigmentazione, lichenificazione, desquamazione, tumefazione, croste, pustole, bolle e tragitti fistolosi. E' comune la presenza di una linfoadenomegalia periferica.
Non colpisce l'uomo, in caso di contatto il parassita non sopravvive, è autolimitante.
Sarcoptes Scabiei è un artropode parassita dell'uomo e di tutti i mammiferi domestici che si nutre delle cellule epiteliali, causando la scabbia o rogna sarcoptica. È altamente specie-specifico.
Il Sarcoptes scabiei non è visibile a occhio nudo: al microscopio si presenta con un tozzo corpo ovaloide, testa incassata tra le zampe anteriori, minuscola e priva di occhi. Il dorso è ricoperto di scaglie cheratinose, setole e squame appuntite. Possiede 8 zampe, due paia ai lati della testa e due paia nella parte inferiore dell'addome.
La femmina dell'acaro, giunta sulla cute, secerne un liquido cheratolitico che le permette di attraversare gli strati cornei superficiali formando un pozzetto in cui si ferma, nell'attesa di un maschio vagante. Una volta gravida, la femmina inizia a scavare la sua tana, definita cunicolo, negli strati più superficiali dell'epidermide (al confine fra lo strato corneo e il granuloso) e semina uova lungo il decorso. Il cunicolo, la lesione tipica della scabbia, rappresenta la sede in cui si trova la femmina dell'acaro e le sue uova nelle varie fasi del processo maturativo. L'acaro depone 2-3 uova al giorno per tutta la durata della sua vita che è di circa 30 giorni, ma solo il 10% delle uova va incontro a maturazione. Il processo maturativo comprende due fasi intermedie e si completa in 7-10 giorni.
L'acaro ama il caldo e non può vivere al di fuori dell'ospite. La sopravvivenza lontano dalla cute è di 2-3 giorni per l'adulto, e di circa 10 giorni per le uova.
Una volta contratta l'infestazione, il periodo di incubazione prima della comparsa dei sintomi è di 2-3 settimane, tempo necessario perché l'ospite si sensibilizzi agli antigeni dell'acaro. Alla reinfezione il prurito compare già dopo 48 ore.
Il sintomo più rilevante della loro presenza (e quindi della scabbia) è un forte prurito, associato da minuscoli cunicoli, lineari o ad arco millimetrici e bianco-rosati, che l'acaro scava nella pelle. Essi poi si annidano di preferenza intorno ad un bulbo pilifero.
Il contagio avviene per contatto diretto con il malato o con oggetti infestati. L'acaro sceglie come area per vivere la pelle al riparo da traumi: spazi interdigitali, lato flessorio dei gomiti, ascelle, inguine. L'eruzione scabbiosa è accompagnata da fortissimo prurito, che si intensifica durante il periodo notturno. Le possibili complicanze sono da ricondursi al grattamento: flittene da piogeni, pustole impetiginoidi, eczemi, ecc.
Una forma più mordace è la scabbia norvegese, con ipercheratosi, croste ed eritrodermia estesa. La scabbia si cura con l'applicazione su tutta la cute di farmaci antiacarici e con la disinfestazione di tutti gli oggetti contaminati.
La leishmaniosi viene veicolata in Europa dalla puntura del Phlebotomus papatasi, comunemente chiamato pappatacio, insetto simile alla zanzara, mentre nel nuovo mondo è trasmessa da flebotomi del genere Lutzomyia. Il pappatacio colpisce principalmente da maggio ad ottobre e preferibilmente dal tramonto all'alba. È presente in tutto il mondo, tranne, a quanto pare, in Australia, ma principalmente si trova in aree vicino al mare o nelle zone tropicali.
Le numerose segnalazioni degli ultimi anni di casi di leishmaniosi canina provenienti da aree tradizionalmente ritenute indenni (anche dell'Italia settentrionale), debbono portare alla conclusione che – in pratica – non esistono zone, comunemente abitate, che possano essere considerate completamente sicure. Infatti se fino al 1989 il Nord Italia era considerato praticamente indenne dalla leishmaniosi canina, oggi esistono dei focolai accertati in Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte ed altri probabili in Trentino e Lombardia (Natale, 2004). In Piemonte sono state accertate tre differenti aree in cui la leishmaniosi canina è endemica (Torino, Ivrea, Casale Monferrato), con una sieroprevalenza che va dal 3,9% al 5,8%. È stato identificato anche un possibile focus instabile in Valle d'Aosta: in quest'area montuosa non erano mai stati segnalati flebotomi in precedenti stazioni di cattura. In queste aree la colonizzazione può essere avvenuta spontaneamente dalle zone costiere o in seguito agli aumentati movimenti di persone dalle aree mediterranee in cui abbondano i flebotomi. In queste aree del Piemonte e della Valle d'Aosta la presenza stagionale dei flebotomi va dalla seconda metà di maggio a settembre. In base ad analogie climatiche e caratteristiche ambientali si può anche prevedere che la diffusione della malattia s'estenderà nel prossimo futuro ad altre zone dell'Europa centrale.[1]
Questa malattia colpisce il cane punto dall'insetto infetto e porta a sintomi piuttosto gravi. Un cane risultato positivo al test può tuttavia vivere per molto tempo prima di manifestare sintomi, ma può comunque diffondere la malattia. La leishmaniosi, inoltre, è un'antropo-zoonosi, cioè una malattia trasmissibile, in alcune particolari condizioni, anche all'uomo (vedi leishmaniosi umana).
Molto importante è tenere presente che la leishmania non viene trasmessa direttamente da cane a cane o da cane a persona: il protozoo infatti, per diventare infettante, deve prima compiere nel flebotomo una parte del proprio ciclo biologico. La vicinanza o il possesso di un cane infetto comportano dunque un rischio epidemiologico per l'uomo del tutto risibile, visto che in una zona endemica saranno molti milioni i pappataci infetti potenzialmente in grado di pungere.
La leishmaniosi può manifestarsi con una serie di sintomi che possono presentarsi assieme o singolarmente. Alcuni animali possono presentare prevalentemente la sintomatologia cutanea della malattia, in altri vengono colpiti gli organi interni, altri ancora manifestano sintomi di entrambi i tipi. La sintomatologia e i segni clinici possono pertanto essere, nei casi non conclamati, multiformi e talvolta difficili da inquadrare.
La sintomatologia "classica" della leishmaniosi comprende:
Dermatite secca esfoliativa tipo forfora
Perdita di peso in modo più o meno rapido.
Alopecia ovvero perdita di pelo intorno agli occhi, sulle zampe, sul dorso.
Lesioni alle orecchie le quali perdono pelo e manifestano vere e proprie ulcere sanguinolente.
Perdita di sangue dal naso (epistassi) dovuta a ulcere nella mucosa orale, in cui sono presenti i parassiti.
Crescita accelerata delle unghie (onicogrifosi).
a carico della pelle si può talora osservare una dermatite esfoliativa con forfora.
Dolori articolari compreso anche mal di schiena: il cane se ne sta spesso immobile in piedi, tenendo la testa bassa per cercare sollievo.
lesioni oculari, dovute a una uveite e iridociclite.
A livello viscerale si riscontrano danni renali, in correlazione ai quali compaiono, col procedere della malattia nei successivi gradi di disfunzione renale: polidipsia, poliuria, anoressia, vomito, diarrea, ulcere orali, sino ai segni neurologici e al coma uremico.
La diagnosi viene effettuata sul sangue, sull'urina, su prelievi citologici di linfonodi, midollo osseo e milza. Il sangue viene valutato quali-quantitativamente nelle sue componenti cellulari (esame emocromocitometrico), in quelle proteiche plasmatiche (elettroforesi) e dal punto di vista immunologico, alla ricerca degli anticorpi indicanti il contatto col parassita (immunofluorescenza) o del parassita stesso (PCR); dall'esame del siero si ricavano informazioni sulla funzionalità degli organi interni, specie fegato e reni.
L'urina dà informazioni sulla funzionalità renale, valutatone il peso specifico, il contenuto in proteine, le cellule presenti.
Sul midollo osseo, milza ed i linfonodi si ricerca la presenza del parassita tramite esame microscopico e PCR.
I protocolli terapeutici sono oggetto di continui studi e verifiche di efficacia ed attualmente alcuni soggetti possono guarire. Cani che reagiscono molto bene alla cura possono continuare a vivere anni senza più manifestare i sintomi ed alcuni possono negativizzarsi sierologicamente. Tuttavia sono possibili delle recidive e per questo motivo in genere si effettuano esami di laboratorio periodici. I farmaci che hanno maggior successo sono quelli a base di antimoniali, come l'antimoniato di metil-glucamina, che è considerata la terapia d'elezione in associazione con un altro farmaco, l'allopurinolo, ma sono attivi parzialmente anche il metronidazolo e alcuni chinoloni. Inoltre la miltefosina, un farmaco usato da anni in medicina umana come chemioterapico, ha mostrato nei primi studi un'efficacia sovrapponibile a quella dell'antimoniato di metil-glucamina. La miltfosina viene somministrata per via orale nel cibo, al contrario l'antimoniato di metil-glucamina deve essere somministrato per via parenterale prevalentemente sottocutanea.
È fondamentale per un successo terapeutico inquadrare il cane in una delle classi di malattia in base alle alterazioni dei parametri di laboratorio ed al grado di coinvolgimento della funzionalità renale, ed instaurare un protocollo terapeutico adeguato al caso clinico.
Non essendo ancora stato prodotto un vaccino, la profilassi per il cane non può limitarsi ad altro che alla protezione dagli insetti con collari repellenti a base di piretroidi sintetici come la deltametrina e la permetrina, con farmaci per uso spot-on (fiale da applicare sulla cute) e con sostanze naturali (aglio) che hanno dimostrato in test e ricerche scientifiche un elevato potere antifeeding sul flebotomo vettore. Poiché il pappatacio vive tra l'erba e colpisce soprattutto di notte, è meglio non far dormire il cane in giardino almeno nelle aree geografiche più colpite dalla malattia. La lotta ai flebotomi può essere condotta principalmente attraverso due tipi d'intervento: il primo prevede misure di protezione contro la puntura dei flebotomi; il secondo, teso a ridurre significativamente la densità di questi insetti, implica l'uso di insetticidi e/o operazioni di bonifica ambientale atte ad eliminare le cause favorenti il loro sviluppo larvale, in particolare in aree urbane e peri-urbane. Misure da prendere per la protezione individuale e collettiva in zone endemiche per leishmaniosi, oltre l'uso di repellenti, sono l'utilizzo di zanzariere a maglie molto fitte applicate a finestre e porte e l'evitare di soggiornare all'aperto durante le ore notturne nella stagione calda.
I coccidi appartengono al phylum degli Apicomplexa (Levine, 1970), comprendente un gruppo eterogeneo di parassiti endocellulari obbligati (es. Eimeria, Cryptosporidium, Plasmodium, Toxoplasma) tutti caratterizzati da un "Complesso Apicale" (da cui il nome), necessario alla penetrazione delle cellule dell'organismo ospite.
In questo phylum i coccidi rappresentano il gruppo maggioritario per l'abbondanza di specie: il sott'ordine Eimeriorina (Leger, 1911), cui appartengono tutti i coccidi, comprende (a seconda del sistema di classificazione) 8-13 famiglie, 36-39 generi e più di 2000 specie descritte.
La famiglia degli Eimeriidae (Minchin, 1903) è la predominante e la più studiata, contando, da sola, 17 generi e circa 1700 specie.
Questa incredibile varietà è legata al fatto che le singole specie di coccidi hanno solitamente una gamma ristretta di ospiti. Limitandosi spesso ad un'unica specie animale, o a specie affini, al limite spingendosi fino ai soggetti appartenenti allo stesso genere, ma quasi mai oltre.
Accade così che, mentre qualsiasi veterinario è in grado di effettuare una diagnosi di coccidiosi, tramite una semplice analisi delle feci, sono davvero pochi quelli in grado di classificarli esattamente, ed è quasi impossibile raccogliere on-line informazioni sulle specie di interesse terraristico. Per fortuna il trattamento terapeutico standard è praticamente identico per tutti, salvando i nostri beniamini, ma lasciandoci di un'ignoranza abissale!
I coccidi sono parassiti che infettano preferenzialmente l'epitelio di rivestimento dell'apparato digerente di molti invertebrati e di tutte le classi di vertebrati. Per questa ragione la coccidiosi è oggi considerata come la più diffusa parassitosi per gli animali d'allevamento e da compagnia.
Oltre ad avere un ospite preferenziale, ogni specie di coccide ha anche un bersaglio cellulare estremamente definito. Questo è generalmente rappresentato dalle cellule epiteliali intestinali (enterociti), tuttavia già a questo livello una singola specie preferirà infettare cellule del tratto prossimale (duodeno, tenue) piuttosto che distale (cieco, colon, retto), ovvero -a livello di cripte- infetterà le cellule apicali piuttosto che quelle basali, spingendosi invece talvolta all'endotelio sottostante.
Alcune specie di coccide si sono invece specializzate ad infettare distretti diversi ad esempio il parenchima epatico, la cistifellea, il dotto biliare, l'utero, le gonadi ecc... Comunque sia ad ogni specie di questo parassita corrisponderà un definito ospite animale ed un ben definito tipo di cellula bersaglio all'interno di esso, con conseguenze importanti sul piano patologico (malassorbimento dei nutrienti, malfunzionamento epatico, sterilità, ecc...).
Il ciclo vitale standard che viene generalmente descritto è legato alle specie di Eimeria di interesse zootecnico, parassiti di conigli, ovini e bovini.
L'infezione inizia con l'ingestione, da parte dell'ospite, di almeno una Oocisti sporulata (che contiene cioè degli sporozoiti maturi), questi sono di fatto imprigionati nella ciste protettiva, che sarà degradata durante la digestione nel duodeno ad opera della tripsina e dei sali biliari (quindi non viene degradata dai succhi gastrici dello stomaco).
Gli sporozoiti liberi, che costituiscono la forma infettante mobile del parassita, penetreranno immediatamente nelle cellule bersaglio grazie al loro Complesso Apicale di cui si è accennato poco fa. Una volta all'interno della cellula si circonderanno con un vacuolo parassitoforo, che li proteggerà dall'attacco dei vacuoli digestivi (lisosomi); qui lo sporozoite inizia il suo primo ciclo -detto merogonico- di riproduzione asessuale (divisioni mitiche multiple).