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Pulci

Poche pulci possono diventare rapidamente una imponente infestazione, spiacevole e costosa. Il miglior modo per combattere un'infestazione da pulci è evitare che questa si presenti. Di seguito trovate alcuni consigli pratici:

 

  • Se state usando un prodotto che previene la formazione di pulci adulte, continuate la prevenzione per circa un anno. Le condizioni del tempo sono imprevedibili e la stagione delle pulci può incominciare prima che voi siate pronti. In condizioni favorevoli, le pulci possono sopravvivere e riprodursi in casa durante l'inverno. Non concedete alle pulci nessun intervall utilizzate un prodotto che ne prevenga lo sviluppo ogni mese.
  • Tutti gli animali che vivono in casa dovrebbero essere trattati contro le pulci. Le pulci possono riprodursi e svilupparsi facilmente su un animale non trattato, vanificando tutti i vostri sforzi.
  • State attenti ai pesticidi. Se sceglieste di usare uno spray o spot-on a base di pesticidi, leggete attentamente l'etichetta e l'indicazione d'uso, specialmente se avete dei bambini piccoli.

 

Attenetevi strettamente alle raccomandazioni per minimizzare i rischi a cui sottoponete il vostro animale, la vostra famiglia e l'ambiente in cui vivete.
Il momento migliore per usare un prodotto che controlli lo sviluppo delle pulci è prima di vederne la comparsa: ricordate che la prevenzione è la migliore cura. E' più facile prevenire lo sviluppo dell'infestazione da pulci, piuttosto che eliminarla nel momento in cui si è già verificata.
Quando una pulce adulta raggiunge il suo ospite comincia a nutrirsi di sangue ed entro 24 ore depone le uova. La deposizione avviene soprattutto nelle ore notturne, mentre il nostro animale riposa. Le uova, che non si attaccano al mantello, cominciano a cadere nell'ambiente, specialmente dove il cane o il gatto soggiornano più a lungo. In relazione alla temperatura e umidità dell'ambiente, nel giro di tre settimane si completa il ciclo di formazione: da uova a larve, quindi pupe e infine pulci adulte. Nell'ambiente infestato il 95% della popolazione delle pulci è costituito da pupe, larve e uova, ossia forme di sviluppo del parassita non visibili a occhio nudo. Le pulci adulte rappresentano solo il 5% della popolazione e, contrariamente a quanto si pensi, difficilmente saltano da un animale all'altr non si allontanano mai volontariamente dall'ospite faticosamente conquistato.
Le pulci sono "macchine da riproduzione" straordinarie: ogni femmina può deporre fino a 50 uova al giorno,per un totale di 2.000 in tutta la sua vita. La principale causa di morte per le pulci adulte è rappresentata dall'attività di pulizia dell'ospite stesso. I pasti giornalieri di una pulce sono costituiti da una quantità di sangue pari a 15 volte il loro peso. Anche il partner è altrettanto speciale: l'organo sessuale maschile, infatti, è lungo circa un terzo della lunghezza totale della pulce e l'atto sessuale può durare fino a 9 ore.

Pidocchi

Questi particolari insetti sono un po' più piccoli delle pulci canine e ve ne sono di due specie: ambedue sono di colore giallo-grigiastro, ma un tipo si nutre di sangue e di siero e diventa blu dopo aver succhiato il sangue. Si trovano sulla pelle, nella quale inseriscono la loro piccola proboscide, e perciò sembra che si tengano ritti sulla testa. Il pidocchio del cane si può trovare soltanto su cani e gatti e non vive a lungo su altri animali; allo stesso modo, i pidocchi di altri animali non potranno sopravvive su cani o gatti. Al contrario delle pulci, i pidocchi non solo si nutrono del sangue del cane, ma si riproducono sopra di lui. La propagazione di una infestazione di pidocchi da un cane all'altro è molto più lenta che una migrazione di pulci, e può verificarsi solo attraverso contatti molto avvicinati, come la coabitazione nel canile o nella cuccia. Al tempo in cui si usavano le applicazioni di zolfo per distruggere i parassiti, le uova deposte a grappoli tra i peli del cane erano estremamente resistenti e l'unico rimedio consisteva nella pratica, oltremodo noiosa, di ripetute strigliature. Dal momento che la polvere insetticida ha la proprietà di penetrare anche nei gusti coriacei delle uova, ancora una volta, in casi di infestazione leggera o individuale, un'unica strigliatura di solito è sufficiente. Qualora si tengano insieme parecchi animali, tutti dovranno essere strigliati, siano o non siano infestati da pidocchi. Dato che ogni pelo perduto dal cane può avere attaccati dei lendini (uova) è prudente, nello stesso tempo, disinfettare anche le cucce e il canile. Gli utensili per la strigliatura, le spazzole, i collari e i corsetti dovranno essere lavati tutti a fondo e poi disinfettati. Pulci e pidocchi tendono ad ibernarsi, cessando così di dare fastidio e di rivelare la loro presenza alle temperature invernali. Perciò, nel caso di cani tenuti all'aperto o in canili non riscaldati, gli insetti possono passare inosservati fino al primo tiepido giorno di primavera. Quando un canile è esente dalle infestazioni è consigliabile non solo isolare ogni nuovo venuto, ma è prudente cercare accuratamente nel suo manto per scoprirvi eventuali visitatori. La pulce del cane è un insetto che preferibilmente striscia, piuttosto che saltare, ed è molto abile nello sfuggire all'occhio di un osservatore. Quando non vi siano che poche pulci, e invisibili, nel manto di un cane, spesso riuscirete a scoprirle a causa di piccole macchie simili a cenere di una sigaretta, che sono gli escrementi di questi insetti. Fate scorrere u dito teso attraverso il dorso del cane dalla coda alla testa e, se non riuscite ad individuare nessuna pulce nascosta nel pelo, potrete spesso riconoscere queste macchiette di polvere grigia. Nel caso che si tratti di pidocchi guardate in particolare intorno e dietro le orecchie e intorno alla base della coda, dove possono vedersi dei gruppi di minuscole uova di colore bianco-sporco appiccicate al pelo. Dopo la schiusa delle uova, per il resto della loro vita, i pidocchi si nutrono del sangue dei loro ospiti. Perciò, oltre a perdere la tranquillità a causa della irritazione cutanea, un cane gravemente infestato da questi insetti perderà sia il pelo che la sua buona forma, a causa del prurito incessante e della continua perdita di sangue.

Zecche

Parassiti succhiatori di sangue esistenti in diverse specie. Si localizzano soprattutto sulla testa (fronte, orecchie, labbra, palpebre), sul collo e negli spazi interdigitali. Principalmente si trovano due tipi di zecche: il primo e rappresentato da parassiti che compaiono dai mesi primaverili a quelli estivi con maschi di colore rosso-marrone scuro, lunghi 2-3 millimetri con corpo piatto e 8 piccole zampe mentre le femmine sono più grandi (4-10 millimetri), grigiastre.
Il secondo tipo, mene frequente, con parassiti molto piccoli (1-2 millimetri al massimo), di colore violaceo.Ogni femmina può deporre da 3000 a 5000 uova che dopo l'incubazione si trasformano in larve che possono svilupparsi solo su un ospite intermedi dopo un pasto di sangue, che va di 3 ai 6 giorni, la larva cade e diventa una ninfa octopode. Un altro ospite intermedio è necessario perché si trasformi in adulto sessuato dove avverrà anche l'accoppiamento. Per staccare le zecche dal corpo dell'animale bisogna prima anestetizzarle con un batuffolo di cotone imbevuto di alcool per alcuni secondi, quindi con una pinzetta estrarla girandola in senso antiorario. Quando estratta è opportuno bruciarla subito, non schiacciarla per terra perché questo consentirebbe alla zecca di continuare il suo ciclo naturale.La profilassi sanitaria necessita di un'azione antiparassitaria sull'animale (spray, polveri, bagni antiparassitari, ecc.) e nei luoghi contaminati.La zecca trasmette diverse malattie tra le quali: la Babesiosi o Piroplasmosi, malattia del sangue dovuta alla "Babesia Canis", protozoo parassita dei globuli rossi che li distrugge per moltiplicarsi, causando anemie , in alcuni casi, porta alla morte. I sintomi della malattia sono caratterizzati anche da difficoltà nella coagulazione, insufficienza renale e turbe nervose, nonché grande spossatezza, febbre, urine scure, turbe visive.

Demodex

Si tratta di un acaro appartenente alla Famiglia Demodecidi, Genere Demodex, Specie canis, responsabile della patologia nota come Demodicosi canina o Rogna Demodettica. La patologia si manifesta quando c'e' una crescita localizzata o generalizzata (2 forme distinte) superiore alla norma di Demodex canis, che e' un abituale commensale della cute del cane. Questa crescita abnorme puo' essere spesso associata a fattori predisponenti come endoparassitosi, nutrizione scadente, terapie con farmaci immunodepressivi o situazioni di stress transitorio ( estro, gravidanza, chirurgia, confinamento in pensioni per cani). Il parassitismo e' di tipo permanente, si nutre di sebo, detriti cellulari, e fluidi tissutali ed il ciclo vitale varia da 2 a 4 settimane. Il demodex vive all'interno del follicolo pilifero e nelle ghiandole sebacee. La femmina si accoppia e depone le uova all'interno del follicolo.
E' una condizione comune del cane, con maggior prevalenza nel cucciolo di 3-6 mesi. La demodicosi del cane adulto si puo' manifestare in animali che presentano immunodepressione dovuta a condizioni come iperadrenocorticismo endogeno o iatrogeno, ipotiroidismo, terapie immunodepressive, diabete mellito o neoplasie. La sintomatologia puo' essere variabile. La malattia solitamente inizia con lesioni localizzate che in seguito generalizzano.
In base al numero di lesioni rilevate viene distinta in demodicosi localizzata ( meno di 6 lesioni: alopecia, eritema, scaglie, iperpigmentazione, comedoni, prurito generalizzato) e in demodicosi generalizzata ( almeno 6 lesioni o una intera regione corporea interessata: alopecia, eritema, scaglie, iperpigmentazione, comedoni, dermatite desquamativa, manicotti follicolari, piodermite secondaria, prurito generalmente legato ad infezioni secondarie, possibile interessamento dello stato generale con ipertermia, anoressia...).
Comunemente si osserva alopecia regionale multifocale a chiazze, o alopecia diffusa con eritema di vario grado, desquamazione con scaglie, papule e/o prurito più o meno intenso. In taluni casi si instaura una condizione di sepsi batterica secondaria, possono quindi manifestarsi sintomi sistemici come febbre, anoressia, depressione.
Puo' interessare tutte le aree del corpo dalla testa alle zampe; si ritrova con maggior frequenza nella regione perioculare, perilabiale, sugli arti anteriori e sul ventre. La pododemodicosi e' caratterizzata da una qualsiasi combinazione di prurito interdigitale, dolore, eritema, alopecia, iperpigmentazione, lichenificazione, desquamazione, tumefazione, croste, pustole, bolle e tragitti fistolosi. E' comune la presenza di una linfoadenomegalia periferica.
Non colpisce l'uomo, in caso di contatto il parassita non sopravvive, è autolimitante.

 

Sarcoptes Scabiei

Sarcoptes Scabiei è un artropode parassita dell'uomo e di tutti i mammiferi domestici che si nutre delle cellule epiteliali, causando la scabbia o rogna sarcoptica. È altamente specie-specifico.
Il Sarcoptes scabiei non è visibile a occhio nudo: al microscopio si presenta con un tozzo corpo ovaloide, testa incassata tra le zampe anteriori, minuscola e priva di occhi. Il dorso è ricoperto di scaglie cheratinose, setole e squame appuntite. Possiede 8 zampe, due paia ai lati della testa e due paia nella parte inferiore dell'addome.
La femmina dell'acaro, giunta sulla cute, secerne un liquido cheratolitico che le permette di attraversare gli strati cornei superficiali formando un pozzetto in cui si ferma, nell'attesa di un maschio vagante. Una volta gravida, la femmina inizia a scavare la sua tana, definita cunicolo, negli strati più superficiali dell'epidermide (al confine fra lo strato corneo e il granuloso) e semina uova lungo il decorso. Il cunicolo, la lesione tipica della scabbia, rappresenta la sede in cui si trova la femmina dell'acaro e le sue uova nelle varie fasi del processo maturativo. L'acaro depone 2-3 uova al giorno per tutta la durata della sua vita che è di circa 30 giorni, ma solo il 10% delle uova va incontro a maturazione. Il processo maturativo comprende due fasi intermedie e si completa in 7-10 giorni.
L'acaro ama il caldo e non può vivere al di fuori dell'ospite. La sopravvivenza lontano dalla cute è di 2-3 giorni per l'adulto, e di circa 10 giorni per le uova.
Una volta contratta l'infestazione, il periodo di incubazione prima della comparsa dei sintomi è di 2-3 settimane, tempo necessario perché l'ospite si sensibilizzi agli antigeni dell'acaro. Alla reinfezione il prurito compare già dopo 48 ore.
Il sintomo più rilevante della loro presenza (e quindi della scabbia) è un forte prurito, associato da minuscoli cunicoli, lineari o ad arco millimetrici e bianco-rosati, che l'acaro scava nella pelle. Essi poi si annidano di preferenza intorno ad un bulbo pilifero.
Il contagio avviene per contatto diretto con il malato o con oggetti infestati. L'acaro sceglie come area per vivere la pelle al riparo da traumi: spazi interdigitali, lato flessorio dei gomiti, ascelle, inguine. L'eruzione scabbiosa è accompagnata da fortissimo prurito, che si intensifica durante il periodo notturno. Le possibili complicanze sono da ricondursi al grattamento: flittene da piogeni, pustole impetiginoidi, eczemi, ecc.
Una forma più mordace è la scabbia norvegese, con ipercheratosi, croste ed eritrodermia estesa. La scabbia si cura con l'applicazione su tutta la cute di farmaci antiacarici e con la disinfestazione di tutti gli oggetti contaminati.

Dirofilaria Immitis

La leishmaniosi viene veicolata in Europa dalla puntura del Phlebotomus papatasi, comunemente chiamato pappatacio, insetto simile alla zanzara, mentre nel nuovo mondo è trasmessa da flebotomi del genere Lutzomyia. Il pappatacio colpisce principalmente da maggio ad ottobre e preferibilmente dal tramonto all'alba. È presente in tutto il mondo, tranne, a quanto pare, in Australia, ma principalmente si trova in aree vicino al mare o nelle zone tropicali.
Le numerose segnalazioni degli ultimi anni di casi di leishmaniosi canina provenienti da aree tradizionalmente ritenute indenni (anche dell'Italia settentrionale), debbono portare alla conclusione che – in pratica – non esistono zone, comunemente abitate, che possano essere considerate completamente sicure. Infatti se fino al 1989 il Nord Italia era considerato praticamente indenne dalla leishmaniosi canina, oggi esistono dei focolai accertati in Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte ed altri probabili in Trentino e Lombardia (Natale, 2004). In Piemonte sono state accertate tre differenti aree in cui la leishmaniosi canina è endemica (Torino, Ivrea, Casale Monferrato), con una sieroprevalenza che va dal 3,9% al 5,8%. È stato identificato anche un possibile focus instabile in Valle d'Aosta: in quest'area montuosa non erano mai stati segnalati flebotomi in precedenti stazioni di cattura. In queste aree la colonizzazione può essere avvenuta spontaneamente dalle zone costiere o in seguito agli aumentati movimenti di persone dalle aree mediterranee in cui abbondano i flebotomi. In queste aree del Piemonte e della Valle d'Aosta la presenza stagionale dei flebotomi va dalla seconda metà di maggio a settembre. In base ad analogie climatiche e caratteristiche ambientali si può anche prevedere che la diffusione della malattia s'estenderà nel prossimo futuro ad altre zone dell'Europa centrale.[1]
Questa malattia colpisce il cane punto dall'insetto infetto e porta a sintomi piuttosto gravi. Un cane risultato positivo al test può tuttavia vivere per molto tempo prima di manifestare sintomi, ma può comunque diffondere la malattia. La leishmaniosi, inoltre, è un'antropo-zoonosi, cioè una malattia trasmissibile, in alcune particolari condizioni, anche all'uomo (vedi leishmaniosi umana).
Molto importante è tenere presente che la leishmania non viene trasmessa direttamente da cane a cane o da cane a persona: il protozoo infatti, per diventare infettante, deve prima compiere nel flebotomo una parte del proprio ciclo biologico. La vicinanza o il possesso di un cane infetto comportano dunque un rischio epidemiologico per l'uomo del tutto risibile, visto che in una zona endemica saranno molti milioni i pappataci infetti potenzialmente in grado di pungere.
La leishmaniosi può manifestarsi con una serie di sintomi che possono presentarsi assieme o singolarmente. Alcuni animali possono presentare prevalentemente la sintomatologia cutanea della malattia, in altri vengono colpiti gli organi interni, altri ancora manifestano sintomi di entrambi i tipi. La sintomatologia e i segni clinici possono pertanto essere, nei casi non conclamati, multiformi e talvolta difficili da inquadrare.

 

La sintomatologia "classica" della leishmaniosi comprende:

 

Dermatite secca esfoliativa tipo forfora
Perdita di peso in modo più o meno rapido.
Alopecia ovvero perdita di pelo intorno agli occhi, sulle zampe, sul dorso.
Lesioni alle orecchie le quali perdono pelo e manifestano vere e proprie ulcere sanguinolente.
Perdita di sangue dal naso (epistassi) dovuta a ulcere nella mucosa orale, in cui sono presenti i parassiti.
Crescita accelerata delle unghie (onicogrifosi).
a carico della pelle si può talora osservare una dermatite esfoliativa con forfora.
Dolori articolari compreso anche mal di schiena: il cane se ne sta spesso immobile in piedi, tenendo la testa bassa per cercare sollievo.
lesioni oculari, dovute a una uveite e iridociclite.
A livello viscerale si riscontrano danni renali, in correlazione ai quali compaiono, col procedere della malattia nei successivi gradi di disfunzione renale: polidipsia, poliuria, anoressia, vomito, diarrea, ulcere orali, sino ai segni neurologici e al coma uremico.

 

La diagnosi viene effettuata sul sangue, sull'urina, su prelievi citologici di linfonodi, midollo osseo e milza. Il sangue viene valutato quali-quantitativamente nelle sue componenti cellulari (esame emocromocitometrico), in quelle proteiche plasmatiche (elettroforesi) e dal punto di vista immunologico, alla ricerca degli anticorpi indicanti il contatto col parassita (immunofluorescenza) o del parassita stesso (PCR); dall'esame del siero si ricavano informazioni sulla funzionalità degli organi interni, specie fegato e reni.
L'urina dà informazioni sulla funzionalità renale, valutatone il peso specifico, il contenuto in proteine, le cellule presenti.
Sul midollo osseo, milza ed i linfonodi si ricerca la presenza del parassita tramite esame microscopico e PCR.
I protocolli terapeutici sono oggetto di continui studi e verifiche di efficacia ed attualmente alcuni soggetti possono guarire. Cani che reagiscono molto bene alla cura possono continuare a vivere anni senza più manifestare i sintomi ed alcuni possono negativizzarsi sierologicamente. Tuttavia sono possibili delle recidive e per questo motivo in genere si effettuano esami di laboratorio periodici. I farmaci che hanno maggior successo sono quelli a base di antimoniali, come l'antimoniato di metil-glucamina, che è considerata la terapia d'elezione in associazione con un altro farmaco, l'allopurinolo, ma sono attivi parzialmente anche il metronidazolo e alcuni chinoloni. Inoltre la miltefosina, un farmaco usato da anni in medicina umana come chemioterapico, ha mostrato nei primi studi un'efficacia sovrapponibile a quella dell'antimoniato di metil-glucamina. La miltfosina viene somministrata per via orale nel cibo, al contrario l'antimoniato di metil-glucamina deve essere somministrato per via parenterale prevalentemente sottocutanea.
È fondamentale per un successo terapeutico inquadrare il cane in una delle classi di malattia in base alle alterazioni dei parametri di laboratorio ed al grado di coinvolgimento della funzionalità renale, ed instaurare un protocollo terapeutico adeguato al caso clinico.
Non essendo ancora stato prodotto un vaccino, la profilassi per il cane non può limitarsi ad altro che alla protezione dagli insetti con collari repellenti a base di piretroidi sintetici come la deltametrina e la permetrina, con farmaci per uso spot-on (fiale da applicare sulla cute) e con sostanze naturali (aglio) che hanno dimostrato in test e ricerche scientifiche un elevato potere antifeeding sul flebotomo vettore. Poiché il pappatacio vive tra l'erba e colpisce soprattutto di notte, è meglio non far dormire il cane in giardino almeno nelle aree geografiche più colpite dalla malattia. La lotta ai flebotomi può essere condotta principalmente attraverso due tipi d'intervento: il primo prevede misure di protezione contro la puntura dei flebotomi; il secondo, teso a ridurre significativamente la densità di questi insetti, implica l'uso di insetticidi e/o operazioni di bonifica ambientale atte ad eliminare le cause favorenti il loro sviluppo larvale, in particolare in aree urbane e peri-urbane. Misure da prendere per la protezione individuale e collettiva in zone endemiche per leishmaniosi, oltre l'uso di repellenti, sono l'utilizzo di zanzariere a maglie molto fitte applicate a finestre e porte e l'evitare di soggiornare all'aperto durante le ore notturne nella stagione calda.

Tenia

I coccidi appartengono al phylum degli Apicomplexa (Levine, 1970), comprendente un gruppo eterogeneo di parassiti endocellulari obbligati (es. Eimeria, Cryptosporidium, Plasmodium, Toxoplasma) tutti caratterizzati da un "Complesso Apicale" (da cui il nome), necessario alla penetrazione delle cellule dell'organismo ospite.
In questo phylum i coccidi rappresentano il gruppo maggioritario per l'abbondanza di specie: il sott'ordine Eimeriorina (Leger, 1911), cui appartengono tutti i coccidi, comprende (a seconda del sistema di classificazione) 8-13 famiglie, 36-39 generi e più di 2000 specie descritte.
La famiglia degli Eimeriidae (Minchin, 1903) è la predominante e la più studiata, contando, da sola, 17 generi e circa 1700 specie.
Questa incredibile varietà è legata al fatto che le singole specie di coccidi hanno solitamente una gamma ristretta di ospiti. Limitandosi spesso ad un'unica specie animale, o a specie affini, al limite spingendosi fino ai soggetti appartenenti allo stesso genere, ma quasi mai oltre.
Accade così che, mentre qualsiasi veterinario è in grado di effettuare una diagnosi di coccidiosi, tramite una semplice analisi delle feci, sono davvero pochi quelli in grado di classificarli esattamente, ed è quasi impossibile raccogliere on-line informazioni sulle specie di interesse terraristico. Per fortuna il trattamento terapeutico standard è praticamente identico per tutti, salvando i nostri beniamini, ma lasciandoci di un'ignoranza abissale!
I coccidi sono parassiti che infettano preferenzialmente l'epitelio di rivestimento dell'apparato digerente di molti invertebrati e di tutte le classi di vertebrati. Per questa ragione la coccidiosi è oggi considerata come la più diffusa parassitosi per gli animali d'allevamento e da compagnia.
Oltre ad avere un ospite preferenziale, ogni specie di coccide ha anche un bersaglio cellulare estremamente definito. Questo è generalmente rappresentato dalle cellule epiteliali intestinali (enterociti), tuttavia già a questo livello una singola specie preferirà infettare cellule del tratto prossimale (duodeno, tenue) piuttosto che distale (cieco, colon, retto), ovvero -a livello di cripte- infetterà le cellule apicali piuttosto che quelle basali, spingendosi invece talvolta all'endotelio sottostante.
Alcune specie di coccide si sono invece specializzate ad infettare distretti diversi ad esempio il parenchima epatico, la cistifellea, il dotto biliare, l'utero, le gonadi ecc... Comunque sia ad ogni specie di questo parassita corrisponderà un definito ospite animale ed un ben definito tipo di cellula bersaglio all'interno di esso, con conseguenze importanti sul piano patologico (malassorbimento dei nutrienti, malfunzionamento epatico, sterilità, ecc...).
Il ciclo vitale standard che viene generalmente descritto è legato alle specie di Eimeria di interesse zootecnico, parassiti di conigli, ovini e bovini.
L'infezione inizia con l'ingestione, da parte dell'ospite, di almeno una Oocisti sporulata (che contiene cioè degli sporozoiti maturi), questi sono di fatto imprigionati nella ciste protettiva, che sarà degradata durante la digestione nel duodeno ad opera della tripsina e dei sali biliari (quindi non viene degradata dai succhi gastrici dello stomaco).
Gli sporozoiti liberi, che costituiscono la forma infettante mobile del parassita, penetreranno immediatamente nelle cellule bersaglio grazie al loro Complesso Apicale di cui si è accennato poco fa. Una volta all'interno della cellula si circonderanno con un vacuolo parassitoforo, che li proteggerà dall'attacco dei vacuoli digestivi (lisosomi); qui lo sporozoite inizia il suo primo ciclo -detto merogonico- di riproduzione asessuale (divisioni mitiche multiple).